«Chi sono?», «Quale è il senso della mia esistenza?», «Chi mi può accompagnare nel cammino e di chi fidarmi?». Sono domande che attraversano tutte le stagioni dell’esistenza, ma che in un momento di snodo come è quello dell’esame di maturità e della scelta degli studi da intraprendere e, comunque, della strada da scegliere per il futuro, divengono particolarmente pressanti e, talvolta, pesanti da sostenere. E, oggi che tante ulteriori difficoltà si sono aggiunte – tra emergenze scolastiche, educative, relazionali, ossia complessivamente spirituali -, il problema non riguarda solo i giovani, ma interroga l’intera società.
Forse anche per questo l’incontro con l’Arcivescovo, promosso dai Servizi per la Pastorale giovanile – il responsabile don Marco Fusi introduce la serata – e la Pastorale scolastica, rivolto ai 18/19enni e, in particolare, ai maturandi, sulla vocazione quale esperienza che si vive insieme, è stato coinvolgente e partecipato. Nella basilica di San Lorenzo Maggiore alle Colonne, con il titolo «A due a due», i ragazzi della Zona pastorale I-Milano, in presenza, e tutti gli altri collegati in diretta YouTube, hanno potuto così dialogare e confrontarsi, significativamente in occasione della 58° Giornata mondiale di preghiera per le Vocazioni, partendo da alcune precedenti riflessioni stimolate dai due Servizi diocesani e dalla simbolica ed esemplare immagine letteraria del rapporto tra Virgilio e Dante, nel 700esimo anniversario della morte del poeta della Divina Commedia.
Le riflessioni di Franco Nembrini
Ad approfondire il tema di “Chi ci accompagna nelle nostre scelte”, il professor Franco Nembrini, docente e noto dantista con molte pubblicazioni dedicate al “Sommo poeta”. È lui che, ripercorrendo la dinamica con cui Virgilio guida Dante, dice ai giovani: «L’atto più intelligente della vita di un uomo è gridare il proprio bisogno. Cercate quella luce, fate una strada che chiede vigore e forza, siate coraggiosi, siate grandi, alzate lo sguardo perché c’è una bella differenza tra accontentarsi ed essere contenti. Siete fatti per l’infinito e per l’eterno, chiedete questo. Come dice Virgilio a Dante c’è comunque un cielo che si muove per te perché ti ritiene degno, anche se non si senti tale. Così Dante ha ritrovato ardore e franchezza per arrivare ad essere veramente libero, come suggerisce ancora Virgilio nel Purgatorio».
Il dialogo con l’Arcivescovo
Un auspicio e una consegna a cui dà voce l’Arcivescovo rispondendo a quattro testimonianze. Inizia Riccardo del Collegio San Carlo, che parla dell’esempio (che vorrebbe seguire) venuto dal fratello andato all’estero e del sostegno dei genitori
«Nel passaggio dal Liceo ad altri momenti vi sono diverse dinamiche – avverte subito l’Arcivescovo -. C’è quella dell’attrattiva, un futuro che attira, e c’è quella che dà sicurezze con la spinta dei genitori e di chi conosce e accompagna. Ma incoraggerei a porre anche altre domande che non si possono censurare. Oltre le materie congeniali, chiediamoci perché si fanno certe scelte. Bisogna considerare che c’è qualcuno che può farci desiderare qualcosa che si può chiamare la terra promessa. Pensiamo a Virgilio che accompagna attraverso la dannazione e la purificazione; a Mosè che libera dalla schiavitù di Egitto promettendo al popolo di Israele, una terra di libertà anche attraverso gli anni di deserto, Chiedetevi quale è la terra promessa a cui chiama colui che conosce chi sono e perché sono al mondo».
È la volta di Elisabeth, 19 anni, al quinto anno di Scienze umane presso l’Istituto Maria Ausiliatrice di Varese. Una storia complessa la sua, raccontata con semplicità: «Ho attraversato una selva di momenti bui in cui ero da sola, tenendo sempre solo per me le mie debolezze e solitudini. Intanto una specie di mostro mi divorava e sono stata bocciata. I social mi hanno stravolto la vita e tutto è iniziato da lì per diventare un incubo. A 16 anni ho incontrato una persona che mi ha guardato, aiutandomi a ritrovare la retta via. È stata la mia salvezza, il mio ragazzo. Ora so chi sono e cosa voglio è mi rispetto».
«Questa bella testimonianza traduce una verità molto profonda – sottolinea l’Arcivescovo -. La verità di noi stessi e della vita non la impariamo dai libri, dai catechismo, dalle prediche, che pure in certi momenti servono, offrendo criteri di giudizio. Noi impariamo dalla relazione e dalla grazia dell’incanto dell’amore che è una strada di rivelazione. La reciprocità dell’amore fa crescere nella stima di sé e nella responsabilità. Ma questa è una terra da esplorare, perché anche la persona più amata rimane un mistero, il rapporto più intenso è un’avventura, non una storia già scritta. L’amore è un invito ad andare oltre e ciò significa, con realismo, riconoscere anche i limiti della persona amata. Chiedersi “Chi sono io? Chi è lei? Perché siamo insieme? Dove stiamo andando?” è un modo per dare verità alle cose e fare intuire che l’amicizia non è guardarsi negli occhi, ma guardare insieme verso un orizzonte».
Nicolò, che frequenta il Liceo classico Parini, parte dall’esperienza personale del felice incontro con un «professore che mi ha aperto gli occhi e mi ha fatto capire ciò che avevo già dentro, ossia che esiste un senso nella vita. Il maestro sta in relazione al suo allievo come una candela accesa a una spenta. L’allievo sarà sempre infiammato dallo stesso fuoco del maestro anche se si allontana e fa le sue scelte», dice con un’espressione ripresa dall’Arcivescovo, che ricorda i tempi in cui insegnava in Seminario, rappresentati, nel suo stemma episcopale, da alcune piccole colombe.
«Questo accendere che chiama là dove la vita preme, là dove serve, è la fierezza di ogni educatore. Nel mio stemma ci sono le colombine perché l’educatore è quello che insegna a volare», portando alla luce cose belle, ma anche quello che non vorremo, «verità non esaltanti o gratificanti. Così il maestro guarisce e permette di fare un incontro con le proprie fragilità. Non possiamo far finta di essere perfetti o non essere mai stati feriti, ma la vocazione è sempre anche una guarigione. La misura dei limiti, come spiega Virgilio a Dante, non è un’obiezione, ma un invito a riconoscere l’umiltà per andare oltre. Auguro a tutti voi di sapere quali sono i limiti che avete e di non fermarvi mai, imparando a volare in alto».
Infine Marta, alunna del Classico Tito Livio, con una passione per la lettura e la musica di autori russi e slavi istillatale dalla nonna. «La prima luce che bisogna accendere è quella dentro di noi. Lo studio è stato il mio Virgilio», scandisce.
«Lasciatevi condurre da chi vi vuole bene e, nel momento in cui sembra di essere sprofondati nell’abisso, vivete l’esperienza di aver incontrato lì la luce, Dio. Tutti siamo chiamati a essere persone che camminano verso la luce, accompagnati dalla parola giusta di qualcuno che conosce la strada», conclude l’Arcivescovo.
Poi, dopo una breve introduzione di don Paolo Alliata, responsabile della Sezione Apostolato biblico, la famosa preghiera a Maria dell’ultimo canto del Paradiso, con San Bernardo che si si rivolge alla “Vergine madre, figlia del tuo figlio” – proposta con la consueta maestria dall’attore Alessandro Castellucci – e la benedizione finale.