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17 maggio

Periferie: Milano-Napoli a confronto

E' questo il tema di un incontro organizzato da Job, la rivista free press della Cisl, presso la Casa della Carità di Milano

17 Maggio 2018

Lo spunto è la presentazione del libro “Un gesuita a Scampia” (EDB) scritto da padre Fabrizio Valletti, sacerdote che opera da anni nei quartieri più difficili della città campana. L’appuntamento è per giovedì 17 maggio, alle 18, in via Brambilla 10, a Milano. Oltre all’autore interverranno il responsabile del Servizio della pastorale sociale e del lavoro della diocesi, Don Walter Magnoni; e il presidente della Casa della Carità, don Virginio Colmegna. Di seguito una intervista a padre Valletti.

Fabrizio Valletti è un prete di frontiera.
Gesuita, da anni opera a Scampia, nella periferia più difficile di Napoli. Ora ha raccontato la sua esperienza e il quartiere in un libro.

Scampia è come “appare” in tv?
Scampia è una piccola città di circa 80mila abitanti. Una parte di essi è certamente legata alla camorra, che fin dagli anni ‘80 ha provocato decine di vittime, in diverse faide, e prospera nell’illegalità, controllando lo spaccio di droga, l’assegnazione delle case abusive e il racket delle estorsioni. E’ un contesto molto problematico, amplificato dai media. Ma buona parte delle famiglie che vivono qui è onesta.

Come ottiene consenso la camorra?
In vari modi: consentendo a una famiglia di occupare abusivamente una casa; aiutandola se ha qualche congiunto in carcere, nel caso fornendo anche assistenza legale; arruolando i giovani in qualche attività criminale, come se fosse un lavoro… Fa leva sulla povertà economica e culturale che caratterizza il quartiere.

Parliamone.
I problemi sono tanti. Il tasso di disoccupazione è altissimo, soprattutto fra i giovani. La condizione della donna è problematica, la maggior parte non lavora e il tasso di natalità è elevato: ci sono ragazzine che hanno il primo figlio a 14 anni. La dispersione scolastica è preoccupante: il 30% non finisce la scuola media e un altro 30% abbandona al primo anno di superiori. Insomma, c’è una fascia di sottoproletariato molto sofferente, con un bassissimo livello di cultura e di istruzione. Il modello di riferimento è quello consumistico. Non ci si può dunque stupire se la criminalità attecchisce.

Cosa pensa della serie tv Gomorra?
E’ una fiction e, come tale, enfatizza un po’ la realtà ed esalta anche i personaggi negativi, per suscitare emozioni. Il racconto su come funzionano le dinamiche fra le famiglie camorriste, su come si contendono gli affari criminali, è veritiero. Ma, come ho detto, Scampia non è solo violenza e illegalità. La parte sana del quartiere non emerge.
Il contesto urbanistico non aiuta. Pensi a Scampia e ti vengono in mente i palazzoni delle “Vele”.
Il progetto politico-urbanistico è molto criticabile. Poggia su grandi complessi abitativi, preda della speculazione, privi di servizi e di un sistema di trasporti adeguato. A Scampia non ci sono aziende, supermercati, banche, librerie, cinema. C’è solo un teatro che però è occupato da una comunità Rom. Nel quartiere, da oltre 30 anni, vivono accampati circa 500 Rom, a cui il Comune non è riuscito a garantire un’abitazione civile, nonostante la disponibilità di fondi europei. Gli unici “presidi” che funzionano sono le farmacie e il distretto sanitario, con alcuni ambulatori di buon livello. Funzionano anche le scuole (cinque complessi con elementari e medie e cinque istituti superiori), che però non prevedono il tempo pieno: nel pomeriggio sono chiuse e per i bambini che provengono da famiglie sofferenti sul piano culturale è un problema. Per questo sono nate diverse associazioni di volontariato che suppliscono alle mancanze delle istituzioni.

Quando è nato il quartiere?
I primi due rioni risalgono agli anni ’60. Nel decennio successivo sono stati realizzati i palazzoni popolari, tra cui le famose “Vele”. Poi, negli anni ’80, con il terremoto, è stato dato il via a una nuova urbanizzazione. Quindi sono state edificati altri complessi, ad opera di cooperative, destinati al ceto medio. Li riconosci perché hanno dei parchi recintati e un servizio di guardie all’ingresso. E’ una presenza sana, che però gravita su Napoli, non frequenta il quartiere e non contribuisce al suo sviluppo.
La politica e il resto della città non sembrano interessati a Scampia.
La politica non ha alcun progetto su Scampia. C’è una Municipalità consultiva, che però non ha nessun potere. I politici si fanno vedere solo quando ci sono le elezioni. La mancanza di progettualità rappresenta anche la cultura della città, che ha una borghesia molto ricca, ma che tollera zone di grave degrado anche in pieno centro storico. Io ho cercato di creare ponti tra Scampia e alcune realtà della Napoli-bene che si sono avvicinate alla nostra attività di cooperazione e formazione.

Parliamo di queste attività. Lei ha fondato il Centro Hurtado.
Il Centro è stato costruito nel 2005 dal Comune. E’ gestito dai gesuiti e da un gruppo di laici: abbiamo una biblioteca e un’attività di formazione al lavoro. Più precisamente, una sartoria e un laboratorio di legatoria e restauro del libro antico. È un piccolo tentativo per mostrare che si può lavorare regolarmente, anche a Scampia e in una realtà come Napoli dove è diffusissimo il lavoro nero.

Nel quartiere è vivo anche il tessuto associativo.
Si, ci sono una trentina di associazioni, alcune di ispirazione religiosa, altre laiche. Sono loro che garantiscono un minimo di presenza sociale e culturale. Ci sono anche gli scout, che sono importanti e che mi auguro si occupino sempre più delle periferie. Poi c’è la Caritas. Negli anni ho visto crescere la coscienza dei cittadini, ma diminuire la responsabilità della politica. Il lavoro delle associazioni non è sostenuto. Le risorse pubbliche sono sempre insufficienti e gli interventi hanno più un carattere assistenziale, che di promozione e sviluppo.

Com’è la presenza della chiesa?
Nel quartiere ci sono cinque parrocchie, la pietà popolare è presente, ma il livello di coscienza religiosa è molto semplice, piuttosto legato ai momenti tradizionali e di rito. È un po’ una caratteristica della religiosità del meridione, che si poggia molto sulla devozione e sulla ricerca di protezione da parte del divino, dei santi. La stessa cultura della camorra si basa molto sul concetto di protezione: il boss è il santo protettore. Non è facile scardinare questa mentalità. La partecipazione religiosa è più rituale, che frutto di convinzione profonda.

Lei opera anche in carcere.
Faccio volontariato nel vicino centro penitenziario di Secondigliano e nel carcere di Poggioreale. A Secondigliano, in particolare, abbiamo attivato un’esperienza di formazione al lavoro su orti e confetture: una cosa piccola, ma simbolica. Se c’è l’impegno delle istituzioni e della società civile il recupero dei detenuti è possibile.
Nel libro ad un certo punto parla di “piedi, cuore, testa, mani”, come stile di vita e di azione.
I piedi servono a girare e osservare; la testa a progettare; le mani ad operare; il cuore apre alla commozione.

Fabrizio Valletti

Gesuita, romano, ha fondato il Centro Hurtado di Scampia, a Napoli. Dopo gli studi in Lettere all’Università di Pisa e di Filosofia e Teologia alla Pontificia Università Gregoriana, ha svolto attività pastorale a Livorno, a Firenze – negli anni di La Pira e Balducci – a Follonica, Bologna e Napoli. Ha insegnato nella scuola pubblica, si è occupato di educazione degli adulti e di assistenza nelle carceri, attività che ancora oggi lo vedono impegnato a Poggioreale e Secondigliano. Impegnato nell’Agesci per la formazione, collabora con quotidiani e riviste.