Giovedì 14 aprile, alle 10, presso Auditorium Largo Mahler a Milano, incontro con Rita Borsellino e padre Bartolomeo Sorge, teologo e politologo direttore emerito della rivista “Aggiornamenti sociali”.
La sorella di Paolo Borsellino, il magistrato anti-mafia ucciso a Palermo in via D’Amelio il 19 luglio 1992, ha già parlato ai ragazzi in diverse occasioni: dopo aver raccontato tutti i percorsi mimetici della criminalità organizzata, dopo aver parlato del suo impegno come parlamentare europeo perché si combattesse in tutta Europa la mafia, in questo nuovo appuntamento organizzato dal Centro Asteria, Rita Borsellino ci mette a parte del suo cammino più impegnativo e più profondo, dopo l’assassinio di suo fratello Paolo: perdonare.
«“Cosa vuol dire perdono? Ho dovuto misurarmi con questa domanda terribile subito dopo la morte di Paolo. Mentre mi aggiravo tra le macerie della mia casa e dei miei affetti, un giornalista impietoso mi chiese: “Lei perdona gli assassini di suo fratello?”. Mi turbò profondamente quella domanda, mi obbligò a riflettere. Era difficile per me in quel momento anche soltanto prendere coscienza di ciò che stavo vivendo. Mi interrogai sui miei sentimenti e ringraziai Dio di non provare odio nei confronti di chi tanto male mi aveva fatto. Pensavo che il fatto di non conoscere il volto di quelle persone fosse la causa di ciò.
E quando l’anno successivo fu catturato Totò Riina, il capo dei capi, e potei vederne le immagini trasmesse dai telegiornali, ancora una volta mi interrogai senza sapermi dare risposta. Fu mia madre, che a 85 anni aveva visto morire il figlio amatissimo e aveva vissuto l’esperienza terribile dell’esplosione, che sussurrò alle mie spalle “che pena mi fa quell’uomo”.
Mia madre aveva capito e provava pena per un uomo che si era abbrutito tanto da rischiare di spegnere la scintilla divina che come ogni uomo aveva dentro. Perdonare, allora, non significa far finta che non sia successo nulla. Nessuno può chiedere questo. Significa volere fortemente giustizia, non vendetta. Far sì che chi ha sbagliato prenda coscienza del male fatto e sentirsi disposti ad accompagnare in questo difficile percorso chi ti ha fatto del male. Operare in modo che non si ricreino le condizioni per cui altri possano scegliere di intraprendere strade sbagliate. Accompagnare chi per condizioni sociali, economiche, familiari, può più facilmente incorrere nella tentazione di scegliere scorciatoie pericolose. Condividere, insomma, un cammino comune con la consapevolezza che ognuno ha qualcosa da dare e da ricevere.
Lo faceva (anche) Paolo quando si trovava a interrogare uomini che si erano macchiati di delitti anche gravi, talvolta suoi ex compagni di gioco nel quartiere povero e degradato dove eravamo cresciuti. Noi in una condizione di privilegio perché figli del farmacista, loro figli di pescatori o di povera gente. “Quando”, si chiedeva Paolo, “avevano preso una strada sbagliata e nessuno se ne era accorto?»