“E come è stabilito per gli uomini che muoiano una sola volta”, scrive l’autore della Lettera agli Ebrei.
Eppure c’è chi “muore” più di una volta. La prima anonimamente, magari in fondo al nostro mare. E solo la cura amorevole di chi ne raccoglie le spoglie s’incarica di dargli una identità.
Così come chi è morto secoli fa e di cui non c’è più nome e memoria oggi, con gli altri, costituisce un solo nome e un solo volto.
In prossimità dell’annuale ricorrenza dei defunti la Cappellania universitaria della Statale propone di riflettere attorno al tema della morte e al suo significato con alcune tappe significative.
La prima è in programma per mercoledì 30 ottobre alle 17 nella Sala lauree degli Studi umanistici d. Marco Cianci, cappellano nell’Università degli Studi di Milano dialogherà con la Professoressa Cristina Cattaneo, Ordinario di Medicina legale e autrice dell’apprezzatissimo volume “Naufraghi senza volto” (Raffaello Cortina editore).
Il corpo di un ragazzo con in tasca un sacchetto di terra del suo paese, l’Eritrea; quello di un altro, proveniente dal Ghana, con addosso una tessera della biblioteca; i resti di un bambino che veste ancora un giubbotto la cui cucitura interna cela la pagella scolastica scritta in arabo e in francese. Sono i corpi delle vittime del Mediterraneo, morti nel tentativo di arrivare nel nostro paese su barconi fatiscenti, che raccontano di come si può “morire di speranza”. A molte di queste vittime è stata negata anche l’identità. L’emergenza umanitaria di migranti che attraversano il Mediterraneo ha restituito alle spiagge europee decine di migliaia di cadaveri, oltre la metà dei quali non sono mai stati identificati. La Professoressa Cattaneo racconta, attraverso il vissuto del suo lavoro di medico legale, il tentativo di un paese di dare un nome a queste vittime dimenticate da tutti, e come questi corpi, più eloquenti dei vivi, testimonino la violenza e la disperazione del nostro tempo.