Èdifficile superare la commozione di queste ore così da potere scrivere di Lui, fino a ieri mattina nostro Cardinale Arcivescovo ed ora Sommo Pontefice della Chiesa Cattolica, successore di Pietro sulla cattedra di Roma con il nome di Paolo VI.
Ci salutò domenica sera all’aeroporto con la solita affabilità, se pure velata di particolare commozione, quasi volesse ripetere quello che più volte sabato scorso ci aveva detto parlando di vari problemi: «Dopo il conclave, la prossima settimana, penseremo anche a questo».
Ma la Sua è stata partenza senza ritorno, almeno immediato: perché non pensare che Egli possa realizzare quello che, a detta Sua, fu desiderio incompiuto di Giovanni XXIII? Ora però la malinconia del distacco è vinta dalla gioia e dalla fierezza che da Milano sia salito alla sede di Pietro il successore di quel Papa che si vantava – lo udimmo con le nostre orecchie – di avere in Lui il suo primo Cardinale. Così il cuore sembra facilitato nel sentire in Paolo VI il Santo Padre e quasi, se è permesso dire così, la fede è aiutata a salutare in Lui il Vicario di Cristo, la pietra fondamentale della Chiesa che in Lui ha il segno della sua unità nel tempo e nello spazio.
Noi Lo abbiamo conosciuto da vicino e vorremmo dire: non poteva essere che così! Ripercorrendo le tappe della Sua vita, della Sua preparazione, dei servizi resi alla Chiesa, della Sua esperienza in Vaticano alla scuola di quei due grandi Pontefici che furono Pio XI e Pio XII e di f. m., della esperienza pastorale di otto anni nella più grande Diocesi di Europa, sembra di intravedere un disegno provvidenziale che, si direbbe, è stato letto dagli Eminentissimi Cardinali riuniti in conclave e ha permesso di scegliere con grande celerità il successore di Giovanni XXIII.
Un osservatore attento della esperienza pastorale vissuta fra noi dal Cardinale Montini in questi otto anni, non fatica a cogliere le caratteristiche della sua instancabile azione volta, vorremmo dire, a tre mete. Anzitutto a risvegliare una religiosità profonda come quella che sola può vincere la pressione esercitata dalla infatuazione tecnica, economicistica, materialista, edonista di questo nostro tempo, così ricco di mezzi per impressionare, così povero di grandi ideali da cui trarre vigore a fondare una civiltà degna di questo nome.
In secondo luogo a fare unità tra i cattolici attorno al grande eterno, immutabile ma sempre nuovo messaggio della chiesa quale i Pontefici lo hanno annunciato all’umanità con un crescendo mirabile di aderenza alle sue aspirazioni, ai suoi bisogni, con una inesauribile capacità di animare le più ardite soluzioni dei suoi problemi senza per nulla umiliarne ma esaltandone i valori spirituali.
In terzo luogo a cercare, a incontrare, ad abbracciare i lontani che, per qualunque ragione, non hanno la gioia di gustare l’intimità della casa paterna, cioè di quel colloquio con Dio che rimane aspirazione somma dell’uomo e che solo vale a placare il suo cuore. Tutto questo sarebbe documentabile ampiamente nei discorsi, nelle iniziative, nelle direttive del Cardinale Montini Arcivescovo di Milano, dalla grande Missione di Milano del 1957 alle Pastorali di quaresima, al viaggio in Africa in visita a quella missione di Kariba che nella volontà dell’Arcivescovo voleva dare dimensioni missionarie al cuore dei suoi figli. Tali caratteristiche sembrano incontrarsi con quelle rifulgenti nel pontificato di Giovanni XXIII e rendono ancor più comprensibili le parole pronunciate in memoria di Lui nella solenne ufficiatura che il 7 giugno l’allora Cardinale Arcivescovo celebrava nel Duomo di Milano. Esse apparvero subito un presagio: «Potremo mai lasciare strade così magistralmente tracciate, anche per l’avvenire, da papa Giovanni? È da credere che no! E sarà questa fedeltà ai grandi canoni del suo Pontificato ciò che ne perpetuerà la memoria e la gloria, e ciò che lo farà sentire ancora a noi paterno e vicino».
A guidare nel percorrere quelle strade così magistralmente tracciate e a farcene sentire viva la presenza è oggi il primo Cardinale di Giovanni XXIII, suo Successore con il nome di Paolo VI. E se, come attestano le prime voci che vengono da tutto il mondo, i figli tutti godono nel sentire una continuità che li impegna per un nuovo rinascimento cristiano, sarà troppo dire che particolarmente impegnati si sentono coloro che per otto anni hanno goduto la Sua mirabile paternità spirituale? In questo impegno sta il migliore omaggio che può salire alla cattedra di Paolo VI e confortarne le prime ore della immane responsabilità insieme con le preghiere di ringraziamento e di propiziazione che da ogni Chiesa si levano «pro Pontifice nostro Paulo».
Giuseppe Lazzati