Asceta del deserto egiziano e poi vescovo di Thmuis, Serapione occupò un posto di grande rilievo nella Chiesa copta del IV secolo. Ne è testimone Girolamo, che nel De viris illustribus gli dedica un capitolo, ricordandone l’amicizia con sant’Antonio. Anche Atanasio di Alessandria lo ricorda nella Vita Antonii, oltre a indirizzargli numerose epistole, come uno dei discepoli prediletti del santo anacoreta, confidente delle sue visioni (V.A., 82) ed erede di una delle sue tuniche di pelle di montone (V.A., 91). Sozomeno poi, nella Historia ecclesiastica lo annovera in una lista di personaggi famosi e ne esalta la santità e l’eloquenza. Fu infatti messo a capo di una delegazione di altri quattro vescovi inviati alla corte di Costanzo III per confutare le accuse che gli ariani avevano rivolto ad Atanasio.
La finezza d’ingegno di Serapione gli fece meritare il titolo di “scolastico”. Scrisse il trattato Adversus Manichaeum, dove con un linguaggio molto semplice, rivelatore però di abilità retorica e di cultura filosofica, combatte i punti fondamentali del manicheismo, cioè il dualismo bene-male e le obiezioni contro l’AT; il De psalmorum titulis, andato perduto; diverse lettere, delle quali ne sono state ritrovate due: l’Epistula ad monachos, e quella indirizzata ai discepoli di Antonio, Isaac e Samatas. Non si conosce la data precisa della morte di Serapione, avvenuta però non prima del 362, alcuni anni dopo la sua cacciata in esilio, probabilmente a seguito del fallimento della delegazione presso Costanzo III.