Paolo Miki nacque a Kioto, in Giappone nel 1556. Battezzato a cinque anni, a venti entrò nel seminario dei Gesuiti dove emise i voti, divenendo uno dei migliori predicatori del vangelo del suo tempo. L’evangelizzazione in Giappone era iniziata con san Francesco Saverio ed era stata portata avanti senza interruzione dai suoi confratelli gesuiti, che operavano in aperto accordo con le autorità del posto.
Ma nel 1587, per diversi complessi motivi, l’imperatore Hideyoshi decretò l’espulsione di tutti i missionari cristiani. La Chiesa fu allora costretta a operare in clandestinità. Quando la persecuzione si intensificò, Paolo Miki, insieme ad altri due confratelli, nel dicembre 1596, fu catturato ad Osaka e condotto nel carcere di Meaco. Con altri 26 prigionieri subì molte torture, tra cui il taglio del lobo dell’orecchio sinistro e l’esposizione al ludibrio pubblico per le vie della città. All’inizio del 1597 furono tutti condotti a piedi fino a Nagasaki, nella speranza che gli scherni delle popolazioni li inducessero ad abiurare. Ma, rimanendo fermi e compatti nella loro fede, i 26 prigionieri vennero condannati a morte sulla collina che, in seguito, fu chiamata ‘la collina santa’. Legati mani e piedi, furono issati su croci e trafitti al cuore da un colpo di lancia.
Paolo Miki, con la sua fortezza d’animo rafforzò la fede dei compagni e li aiutò ad andare incontro al martirio con la gioia nel cuore e con parole di perdono per i carnefici.