Nasce a Verdú nella Catalogna il 26 giugno 1580. Allievo dei Gesuiti a Barcellona, entrò poi nella Compagnia di Gesù e quando non aveva ancora terminato gli studi teologici fu destinato alla missione di Nuova Granata, come allora era chiamata l’attuale Colombia. Era la missione che corrispondeva al suo desiderio più profondo, coltivato negli anni dei suoi primi studi nel convento di Palma di Maiorca, dove ebbe compagno e ispiratore sant’Alfonso Rodriguez, il desiderio di dedicarsi agli indigeni americani, umiliati dai conquistatori europei e sfruttati dal nascente colonialismo.
Prima di darsi al lavoro missionario, dovette completare a Santa Fé di Bogotà gli studi teologici; il 19 marzo 1616 fu ordinato sacerdote e divenne il braccio destro del responsabile della missione nella città di Cartagena. Qui si rese subito conto che i più bisognosi di assistenza non erano gli indiani. Era infatti cominciata la tratta degli schiavi che nel porto di Cartagena arrivavano dall’Africa ogni anno a migliaia, in condizioni pietose. Ad essi si dedicò totalmente, assistendoli materialmente in ogni modo prima di annunciare loro il vangelo di Gesù. In una sua lettera scriveva: “Comunichiamo con loro non con le parole ma con le mani e i fatti: se non diamo da mangiare, ogni discorso è perfettamente inutile ”.
Aveva sottoscritto la sua professione religiosa definitiva firmandosi come “Pietro Claver, servo degli Etiopi per sempre”. E per la loro promozione usò tutti i mezzi a disposizione, prodigandosi instancabilmente per 34 anni, finché nel predicare una missione per i suoi africani che lavoravano nelle campagne si ammalò di peste. Questa malattia segnò la fine del suo intenso lavoro. Pietro Claver visse ancora quattro anni, e furono anni di continua preghiera, nei quali si rivelò luminosa la fonte del suo amore preferenziale per i più poveri dei suoi fratelli.