Aquila e Priscilla, due coniugi giudeo-cristiani, furono ferventi collaboratori di san Paolo nella diffusione del vangelo di Gesù, come san Paolo stesso ripetutamente attesta nelle sue lettere.
Aquila, giudeo originario del Ponto, trasferitosi a Roma, sposò Priscilla , o Prisca, come è anche chiamata. Erano di mestiere fabbricanti di tende. In seguito al decreto dell’imperatore Claudio, che ordinava l’espulsione da Roma di tutti i giudei, Aquila e Priscilla raggiunsero Corinto, dove Paolo li trovò quando vi giunse nel suo secondo viaggio missionario l’anno 51. E fu loro ospite, e a casa loro poté esercitare il suo mestiere, provvedendo così al necessario per vivere, senza essere di peso a nessuno, e annunciando così gratuitamente il vangelo, come gratuitamente lo aveva ricevuto.
Quando, dopo un anno e mezzo, Paolo volle fare ritorno in Siria, ebbe come compagni di viaggio fino a Efeso Aquila e Priscilla, che rimasero in questa città e qui istruirono “nella via del Signore” il celebre Apollo, l’eloquente giudeo-alessandrino, molto versato nelle Scritture, ma ancora ignaro di alcuni punti essenziali della dottrina cristiana, come il battesimo di Gesù. Ad Efeso, attorno ad essi si radunava la comunità per la preghiera e le riunioni cultuali: ‘ecclesia domestica’ fu la loro casa.
Probabilmente, anche a Efeso Paolo fu loro ospite. Scrivendo infatti da questa città la prima lettera ai Corinti dice: “Vi salutano molto nel Signore Aquila e Priscilla con la comunità che si raduna nella loro casa” (1 Cor 16, 19). Ma il loro elogio più caldo lo troviamo nella lettera che Paolo scrive ai cristiani di Roma, dove i due coniugi si erano di nuovo trasferiti: “Salutate Prisca e Aquila, miei collaboratori in Cristo Gesù; per salvarmi la vita essi hanno rischiato la loro testa, e ad essi non io soltanto sono grato, ma tutte le Chiese dei Gentili; salutate anche la comunità che si riunisce nella loro casa” (Rm 16, 3-5). Non si hanno notizie sulla loro morte, né ha fondamento storico l’ipotesi del martirio. La loro gloria vera è la partecipazione alle fatiche e alle prove di Paolo nella testimonianza resa al vangelo di Gesù e nell’annuncio della Buona Novella ai Gentili.
Gli ortodossi, i greco-cattolici e i maroniti oggi fanno memoria del martirio di san Procopio.
Nato ad Aelia (Gerusalemme) nel IV secolo, si era poi stabilito a Scitopoli, dove svolse le funzioni di lettore, di interprete di siriaco e di esorcista. Votatosi al celibato fin dalla giovinezza, praticò una rigorosa ascesi, con digiuni severissimi, applicandosi a fondo allo studio della Parola di Dio. Il decreto di persecuzione dei cristiani, emanato a Roma da Diocleziano nel 303, toccò anche la Palestina e vi trovò subito le sue vittime.
Eusebio di Cesarea, il grande storico dei primi secoli cristiani, ne ‘I martiri di Palestina ‘, ci narra del martirio di Procopio. “Il primo dei martiri della Palestina fu Procopio. Prima di fare esperienza della prigione, subito al suo primo arrivo fu condotto davanti al tribunale del governatore (Firmino) e ricevette l’ordine di sacrificare ai pretesi dei. Disse di non conoscere che un solo Dio, al quale conveniva sacrificare come egli stesso voleva”. Questa sua testimonianza di fede gli valse la corona del martirio.
Procopio fu il primo martire di Cesarea.