Eremita del secolo IV. Di lui ci narra Palladio nella sua Historia Lausiaca. Dopo una lunga vita trascorsa in semplicità coltivando la terra, Paolo a 60 anni abbandonò la famiglia e la sposa infedele e si ritirò nel deserto, deciso ad abbracciare la vita monastica. Bussò alla porta del grande Antonio, pregandolo di accoglierlo come discepolo. Antonio obiettò che ad una età così avanzata sarebbe stato impossibile l’adattamento alla dura ascesi della vita che voleva iniziare. Non riuscendo a scoraggiarlo, lo sottopose lungamente alla prova; ma nulla raffreddò lo zelo del neofita, né i lunghi digiuni, né i difficili lavori da fare, disfare e rifare, né le veglie prolungate a dismisura, nulla.
Fu ammesso così alla vita monastica che condusse a imitazione del suo grande maestro. In una celletta distante quattro miglia da quella del santo Patriarca, Paolo passò il resto della sua vita, in umiltà e totale obbedienza al suo Signore dal quale ricevette doni straordinari da trasmettere ai fratelli che andavano a visitarlo: fu così medico per gli ammalati che partivano risanati, consolatore degli afflitti, liberatore degli ossessi. Accadeva persino che lo stesso sant’Antonio gli inviasse gli indemoniati che si sentiva incapace di liberare e Paolo vi riuscisse perfettamente.
Era la sua umiltà, la sua semplicità a ottenere il prodigio, quella semplicità che gli valse, da parte di tutti i fratelli il titolo di “il Semplice”.
[ In questo giorno nel calendario della Chiesa universale, è fatta memoria delle sante Perpetua e Felicita, martiri, ma nel rito ambrosiano tale memoria è anticipata al 7 febbraio.]