La festa di santo Stefano, all’indomani del Natale di Nostro Signore, dice lo stretto legame esistente tra l’incarnazione e la passione, tra il Natale e la Pasqua. Martire è il testimone della fede nel Dio incarnato, e ne annuncia la Pasqua, l’offerta della vita per la salvezza del mondo. Di Stefano parlano gli Atti degli Apostoli (cc. 6-7): è il primo nominato dei sette diaconi incaricati di curarsi della distribuzione quotidiana di cibo, in particolare alle vedove. “Uomo di fede e pieno di Spirito santo”, apparteneva alla prima comunità cristiana di Gerusalemme.
Ebreo di origine ellenistica, Stefano (che in greco significa “coronato”) aveva una profonda conoscenza delle sacre Scritture, e questo gli consentì di sostenere una lunga disputa nel sinedrio, davanti al quale fu condotto a causa della sua attiva predicazione, soprattutto tra gli ebrei della diaspora, che egli guadagnava numerosi alla fede in Gesù crocifisso e risorto. Arrestato e condotto al giudizio del sinedrio, venne condannato, e un gruppo di fanatici, aizzando contro di lui il furore del popolo, prese a colpirlo con sassi, deponendo i mantelli ai piedi di un giovane, chiamato Saulo – il futuro Paolo – presente alla lapidazione. Stefano intanto pregava e diceva, come il suo Signore: “Padre, accogli il mio spirito”. Poi piegò le ginocchia e gridò forte: “Signore, non imputare loro questo peccato”(At 7, 59-60).
La sua festa, attestata alla data del 26 dicembre dal Martirologio di Nicomedia (361), dal Lezionario di Gerusalemme (415-417) e dal Martirologio siriaco, è già presente in occidente nel V secolo. L’uccisione di Stefano e la persecuzione che ne seguì costituirono l’occasione concreta che spinse il gruppo degli ellenisti a disperdersi. Cacciati da Gerusalemme si trasformarono in missionari itineranti, e il cristianesimo, da movimento interno al giudaismo, iniziò il suo cammino autonomo nel mondo.
La leggenda si impadronì della figura di questo santo; la proliferazione di reliquie autentiche o meno, nate dal ritrovamento del suo sepolcro in Palestina, contribuì a incrementare il suo culto, già vivo nelle comunità cristiane. La cronaca di questo ritrovamento fu stesa dallo stesso autore della scoperta, il prete Luciano di Kefar-Gamla.