E’ una delle figure più significative della riforma conciliare post-tridentina. Nasce ad Arona il 2 ottobre 1538 dall’illustre famiglia dei Borromeo, secondogenito e perciò destinato, secondo il costume del tempo, a intraprendere la carriera ecclesiastica. A 21 anni si laurea a Pavia “in utroque iure” ed è chiamato a Roma dallo zio, fratello della madre Margherita Medici, papa Pio IV, che lo associò a sé nel governo della Chiesa, nominandolo – come oggi si direbbe – segretario di Stato.
Inizia così la sua vertiginosa ascesa alle più alte cariche ecclesiastiche; nominato cardinale a 22 anni, diventa poi nel 1560 amministratore della vasta e ricchissima diocesi di Milano. Accanto allo zio, ebbe un’influenza determinante nella riapertura del Concilio di Trento e poi nella sua conclusione (1562-1563); sotto la sua spinta i decreti conciliari furono subito approvati dal papa e fu creata la Congregazione del Concilio per la loro applicazione nelle diocesi. Alla morte del fratello, divenendo, a 24 anni, erede legittimo del casato, si pensò, nella curia romana, che avrebbe abbandonato lo stato ecclesiastico.
La sua decisione di farsi ordinare sacerdote colse tutti di sorpresa. Carlo imboccò decisamente questa strada dopo un corso di esercizi spirituali fatti sotto la guida di un santo gesuita, il padre Ribera, durante i quali si convinse che Dio lo aveva portato a Roma proprio per condurlo alla scelta radicale di totale rinuncia al mondo, perché potesse servirlo con tutta la vita nei fratelli, secondo il modello di uomini esemplari del suo tempo, quali Gaetano da Thiene, Ignazio di Loyola e Filippo Neri. Il 7 dicembre 1564 fu consacrato vescovo e si preparò, secondo i dettami del Concilio, ad assumere direttamente il governo della sua vasta archidiocesi, dove si insediò nel 1565.A Milano si consacrò totalmente alla sua missione pastorale e attese con straordinaria energia all’opera della riforma, celebrando diversi concili provinciali e numerosi sinodi, visitando assiduamente la sua vasta diocesi, istituendo seminari per la formazione del clero, ripristinando la disciplina nelle famiglie religiose. Si oppose all’introduzione dell’inquisizione spagnola nella sua diocesi, patrocinata dal potente Filippo II, difendendo con fermezza i diritti e la libertà della Chiesa, e si rivelò, oltre che pastore infaticabile, anche un grande riformatore e organizzatore sia della vita ecclesiale che della vita civica. Così nella peste del 1576 organizzò l’assistenza nel lazzaretto pubblico e negli ospedali di emergenza, impegnando tutte le risorse della diocesi e vendendo il suo principato napoletano di Oria per soccorrere la miseria del momento.
In quest’ora di prova per i milanesi, l’arcivescovo fu l’unico punto di riferimento e di conforto. La peste fu superata e Milano riprese la sua vita normale; ma la vita del Borromeo era ormai minata dalle fatiche sopportate senza risparmio. Stava facendo gli esercizi spirituali nel suo santuario preferito, sul Sacro Monte di Varallo, quando fu colto da una febbre insistente; stremato di forze fu trasportato a Milano, dove morì il 3 novembre 1584. Aveva solo 46 anni.
Il 1° novembre 1610 Paolo V lo proclamava santo, additandolo come modello a tutti i pastori della Chiesa.