At 25,13-14a.23; 26,1.9-18.22-32; Sal 102; Gv 12,44-50
«Se qualcuno ascolta le mie parole e non le osserva, io non lo condanno; perché non sono venuto per condannare il mondo, ma per salvare il mondo. Chi mi rifiuta e non accoglie le mie parole, ha chi lo condanna: la parola che ho detto lo condannerà nell’ultimo giorno». (Gv 12,47-48)
Il modo con cui viviamo questo tempo che ci è dato dirà la qualità del tempo nuovo che Dio vuole preparare per tutti. La sua promessa è di gioia senza fine, ma noi possiamo anche prendere le distanze dall’amore che riversa sulla storia. Non ha fatto bene alla Chiesa l’insistenza sull’immagine di Dio come giudice inflessibile che condanna per il peccato: il “timore di Dio” non è la paura di lui, ma il desiderio di stare dalla sua parte e il dolore per ciò che da lui allontana. Se il nostro futuro (ma anche già in questa vita) sarà privo della gioia di Dio, non sarà per l’intervento di condanna del Signore, ma per la nostra incapacità di riconoscere la sua presenza e di attraversare con speranza le difficoltà che la storia ci oppone. In fondo, ci condanniamo da soli, almeno un poco, facendoci del male tra noi e scegliendo ciò che non costruisce futuro. La parola di Gesù è “condanna” nel senso che indica la Via, ma lascia anche la libertà di seguire altro: possiamo accogliere e possiamo rifiutare, spetta a noi, a me.
Preghiamo
Venite e ascoltate
le grandi cose che ha fatto il Signore.
Ha risuscitato Gesù da morte
perché la nostra fede fosse certa
e la nostra speranza fosse in Dio, alleluia.
(dalla liturgia)