At 9,31-43; Sal 21; Gv 6,44-51
«Io sono il pane della vita. I vostri padri hanno mangiato la manna nel deserto e sono morti; questo è il pane che discende dal cielo, perché chi ne mangia non muoia. Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo». (Gv 6,48-51)
Le parole di Gesù sono piuttosto forti: sembrerebbero minimizzare l’esperienza del popolo ebraico, liberato dalla schiavitù in Egitto e condotto da Dio attraverso il deserto, di fronte a quanto i suoi contemporanei possono riconoscere e sperimentare attraverso lui stesso. Parole forti perché indicano che il futuro possibile, la vita che vince la morte si possono incontrare solamente assimilando la concreta vita del Maestro di Nàzaret. E questo riguarda non solamente chi lo stava ascoltando in quel momento e poteva fisicamente incontrarlo, ma addirittura tutto il mondo! Non è difficile comprendere le ragioni che, subito dopo questo discorso, avevano spinto i suoi ascoltatori a generare qualche perplessità: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?» (Gv 6,52b). A noi è chiesto di rimanere in questo impegnativo e affascinante incontro con la figura di Gesù, unica via capace di donare qualcosa che resta e vince la morte: lui è il Risorto!
Preghiamo
Guarda con bontà il tuo popolo, o Dio,
e, poiché lo hai rinnovato con gli eterni misteri,
guidalo alla gloria incorruttibile
della risurrezione.
(dalla liturgia)