Mercoledì 17 maggio
At 15,36-16,3.8-15; Sal 99 (100); Gv 12,20-28
«In verità, in verità io vi dico: se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto. Chi ama la propria vita, la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna» (Gv 12,24-25).
La parola del grano che muore è una piccola parabola contadina: la semente che messa in terra scompare fa poi nascere una messe abbondante. Il senso è chiaro: la morte di Gesù è la via scelta dal Padre e dal Figlio come cammino di glorificazione, come salvezza offerta a tutti gli uomini. In questa comunione di volontà fra il Padre e il Figlio la Chiesa non è assente: infatti il grano che muore porta frutto. La morte di Gesù non è solo un passaggio obbligato per entrare nella gloria, ma per i credenti e per la Chiesa è condizione per rinascere e moltiplicarsi. La comunità dei credenti è associata al destino di Gesù. Coloro che amano la propria vita sono, nel linguaggio giovanneo, quelli che preferiscono le tenebre – cioè questo mondo – e la propria gloria. Condividere il cammino della croce significa seguire Gesù, riconoscendo nella comunione con la croce la potenza della risurrezione che già si manifesta. Un cammino che coinvolge l’intera esistenza e non chiede molto ma tutto e proprio per questo apre alla novità della vita divina.
Preghiamo
Signore Gesù,
nel seme che muore e dà frutto
tu hai voluto rappresentare il mistero della tua morte e risurrezione.
Donaci di fare nostra la verità di questa parola
che ci spinge a perdere la nostra vita per guadagnarla in te.
[da: La Parola ogni giorno. L’esistenza “in Cristo”, Quaresima e Pasqua 2017, Centro Ambrosiano, Milano]