Giovedì 4 maggio
At 6,8-15; Sal 26 (27); Gv 6,16-21
Dopo aver remato per circa tre o quattro miglia, videro Gesù che camminava sul mare e si avvicinava alla barca, ed ebbero paura. Ma egli disse loro: «Sono io, non abbiate paura!» (Gv 6,19-20).
I discepoli sono soli su una barca, in mezzo al mare. La potenza dell’acqua sembra vincerli: il loro remare affannato dice una lotta impari, persa in partenza. Nel frattempo la notte si dirada, viene il mattino, tempo propizio per la rivelazione. Un velo si alza sull’identità misteriosa di Gesù. Il fatto che egli cammini sul mare, indica che Gesù si affranca dalle leggi della natura: l’acqua che separa si trasforma in sentiero che riunisce. Anche nella vicenda dell’esodo l’acqua era dominata dalla potenza di Dio perché Israele camminasse all’asciutto (cfr. Es 14). La reazione dei discepoli è la paura, segno che hanno visto in quel cammino una manifestazione divina. La parola di Gesù che rassicura i discepoli è introdotta da un solenne «Io sono», una formula che rimanda alla rivelazione di Dio stesso. Colui che, come Dio, domina la potenza dei flutti, si avvicina ai discepoli, ma è un uomo che condivide la loro esistenza, è una persona che parla loro come ogni persona. La gloria divina si è fatta carne, si è avvicinata all’umanità, ha condiviso la sua fragilità, rivelando la grandezza dell’amore di Dio.
Preghiamo
Signore Gesù,
ti sei fatto piccolo
perché noi potessimo comprendere la tua grandezza.
Non smettere di dirci «Non abbiate paura»:
con te possiamo vincere l’angoscia della morte.
[da: La Parola ogni giorno. L’esistenza “in Cristo”, Quaresima e Pasqua 2017, Centro Ambrosiano, Milano]