Ct 7,13a-d.14. 8,10c-d; Sal 44; Rom 8, 24-27; Gv 16,5-11 «Ora vado da colui che mi ha mandato e nessuno di voi mi domanda: “Dove vai?” Anzi, perché vi ho detto questo, la tristezza ha riempito il vostro cuore. Ma io vi dico la verità; è bene per voi che io me ne vada, perché se non me ne vado, non verrà a voi il Paraclito». (Gv 16, 5-7a) La partenza dell’amato genera tristezza e anche paura del futuro. I discepoli hanno capito che il Maestro li lascerà presto, e in modo cruento e non osano neppure chiedergli dove andrà. Sono angosciati da una domanda: perchè il giusto, che ha svelato l’amore grande di Dio per ciascuno di noi, deve morire sulla croce? Perché deve passare attraverso questo fallimento che uccide ogni speranza? Ma è Gesù stesso a spiegare che questo non è un fallimento, ma il compimento della sua opera: egli tornerà presso il Padre e invierà ai suoi lo Spirito consolatore. Lo Spirito consentirà al Padre e al Figlio di dimorare in noi. La nostra vita si sviluppa tra la partenza di Gesù e il suo ritorno. Pasqua significa che Gesù è dentro di noi, con la potenza del suo Spirito, capace di risvegliare in noi la vita. Preghiamo Il tuo nome voglio ricordare per tutte le generazioni; così i popoli ti loderanno in eterno, per sempre. (dal salmo 44) [da La Parola di ogni giorno, Ragione della nostra libertà – Pasqua 2010, Centro Ambrosiano]