Qo 1, 16 – 2, 11; Sal 24 (25); Mc 12, 13-17
Io, Qoèlet, pensavo e dicevo fra me: «Ecco, io sono cresciuto e avanzato in sapienza più di quanti regnarono prima di me a Gerusalemme. La mia mente ha curato molto la sapienza e la scienza». Ho deciso allora di conoscere la sapienza e la scienza, come anche la stoltezza e la follia, e ho capito che anche questo è un correre dietro al vento. Infatti: molta sapienza, molto affanno; chi accresce il sapere aumenta il dolore. (Qo 1,16-18)
La riflessione di Qoèlet mette in discussione ciascun lettore: a cosa serve sforzarsi di conoscere e meditare a fondo quanto accade se una maggiore conoscenza produce solo una dose più grande di dolore rispetto a quella che patiscono coloro che preferiscono vivere inconsapevoli e indifferenti a tutto quanto accade?
Le sue parole hanno innanzitutto valore perché mettono in guardia dalla pretesa e dall’illusione che una maggiore conoscenza, fine a sé stessa, possa anche dare la felicità: quel tipo di sapienza rimane vana perché non ha uno scopo se non l’accumulo. Si tratta allora di chiedersi a cosa serva conoscere, se abbia un fine che va oltre sé, se la maggiore consapevolezza può essere adeguata per creare per tutti condizioni e relazioni migliori.
Preghiamo
Fammi conoscere, Signore, le tue vie,
insegnami i tuoi sentieri.
Guidami nella tua fedeltà e istruiscimi,
perché sei tu il Dio della mia salvezza;
io spero in te tutto il giorno.
dal Salmo 24 (25)