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Incontri

Vivere in città, ma vivere bene

Un'iniziativa promossa da Ciessevi, Caritas Ambrosiana, Ufficio per la vita sociale e il lavoro e Associazione Volontari Caritas ha riflettuto sulla partecipazione della cittadinanza alle politiche sociali urbane

Silvio MENGOTTO Redazione

27 Marzo 2009

Ciessevi, Caritas Ambrosiana, l’Ufficio per la vita sociale e il lavoro e l’Associazione Volontari Caritas Ambrosiana sono i promotori di un’iniziativa pubblica sulla partecipazione della cittadinanza alle politiche sociali urbane che si è tenuta giovedì 26 marzo nel teatro San Lorenzo alle Colonne. Tra i partecipanti mons. Erminio De Scalzi, vicario episcopale della città di Milano, don Raffaello Ciccone, responsabile della Pastorale del lavoro della diocesi, il professore Giovanni Moro, docente presso la Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università di Roma, e il direttore di Caritas Ambrosiana don Roberto Davanzo.
L’interrogativo di fondo ha ruotato attorno alla domanda di quali siano le strade percorribili per migliorare la vita della città. Per poter rispondere si è tracciato uno scenario complessivo del cambiamento dove la città di Milano è al centro delle trasformazioni. Un «luogo difficile da leggere e da approcciare ma che, al contempo, resta luogo privilegiato» dove realizzare, cercare, le risposte possibili.
Nel testo “La città scomposta” di Caritas Ambrosiana del 2001 prevaleva una lettura della frammentazione, delle distanze: «Tra le persone e le istituzioni, tra le persone e i diversi gruppi sociali». La città mostra due lati diversi della stessa medaglia «da un lato luogo di nuove forme “reticolari” di relazione, dall’altro lato luogo delle relazioni “corte”, quelle intrafamiliari dove la famiglia, quando c’è, e comunque con tratti diversi rispetto al passato, resta il primo ambito di cura e di significato per gli individui. Tra questi due livelli finisce spesso per esserci il vuoto».
Nel tempo si sono indebolite quelle formazioni sociali dove, come recita l’articolo 2 della Costituzione «si svolge la personalità dell’uomo, quei corpi intermedi cruciali che danno forma e colore alla vita sociale della città». Il volto di Milano mostra la sua complessità che, per essere riconosciuta, affrontata e governata, non può che essere collocata in una prospettiva etica: la costruzione «di una città “buona e giusta”, capace non solo di far vivere i suoi abitanti, ma di farli vivere bene».
Tre le possibili proposte: una prossimità che incontra, una che aggrega e la questione abitativa. La prossimità che incontra ricorda da dove viene la società civile che si rappresenta, cioè la capacità e la scelta di “farsi prossimi” gli uni agli altri. In concreto significa pensare a «figure e funzioni nuove, da ideare e formare rispetto a competenze specifiche e necessarie. Significa lavorare sulla prossimità e l’ascolto, quindi su figure, luoghi e funzioni che riscrivano la capacità di esserci accanto alle persone, andare verso le persone. Significa pensare a figure stabili sui territori, dai portieri sociali ai custodi sociali».
Con la prossimità che aggrega si intende «la capacità di raccordo, e integrazione, cioè pensare a spazi fisici integrati sia rispetto alle competenze espresse sia per titolarità, multifunzionali, riconoscibili nel loro essere una risorsa condivisa, comunitaria».
La questione abitativa oggi è un elemento determinante per la politica complessiva della città. Da questo deriva la convinzione che le politiche abitative «debbano procedere strettamente legate alle politiche di inclusione e di coesione sociale. La casa per tutti è una scelta per dare risposta a un bisogno, ma anche una scelta culturale e politica per la città nel suo complesso».
La proposta finale degli organizzatori è quella di iniziare a collaborare per una stesura di una “Lettera aperta alla città” quale manifesto delle idee, il primo «prodotto comune da diffondere alle istituzioni locali e alla cittadinanza, attraverso i canali che ciascuno di noi saprà e potrà attivare». Come dice Aristotele: «la città sorge per rendere possibile la vita e sussiste per produrre le condizioni di una buona esistenza». Ciessevi, Caritas Ambrosiana, l’Ufficio per la vita sociale e il lavoro e l’Associazione Volontari Caritas Ambrosiana sono i promotori di un’iniziativa pubblica sulla partecipazione della cittadinanza alle politiche sociali urbane che si è tenuta giovedì 26 marzo nel teatro San Lorenzo alle Colonne. Tra i partecipanti mons. Erminio De Scalzi, vicario episcopale della città di Milano, don Raffaello Ciccone, responsabile della Pastorale del lavoro della diocesi, il professore Giovanni Moro, docente presso la Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università di Roma, e il direttore di Caritas Ambrosiana don Roberto Davanzo. L’interrogativo di fondo ha ruotato attorno alla domanda di quali siano le strade percorribili per migliorare la vita della città. Per poter rispondere si è tracciato uno scenario complessivo del cambiamento dove la città di Milano è al centro delle trasformazioni. Un «luogo difficile da leggere e da approcciare ma che, al contempo, resta luogo privilegiato» dove realizzare, cercare, le risposte possibili.Nel testo “La città scomposta” di Caritas Ambrosiana del 2001 prevaleva una lettura della frammentazione, delle distanze: «Tra le persone e le istituzioni, tra le persone e i diversi gruppi sociali». La città mostra due lati diversi della stessa medaglia «da un lato luogo di nuove forme “reticolari” di relazione, dall’altro lato luogo delle relazioni “corte”, quelle intrafamiliari dove la famiglia, quando c’è, e comunque con tratti diversi rispetto al passato, resta il primo ambito di cura e di significato per gli individui. Tra questi due livelli finisce spesso per esserci il vuoto».Nel tempo si sono indebolite quelle formazioni sociali dove, come recita l’articolo 2 della Costituzione «si svolge la personalità dell’uomo, quei corpi intermedi cruciali che danno forma e colore alla vita sociale della città». Il volto di Milano mostra la sua complessità che, per essere riconosciuta, affrontata e governata, non può che essere collocata in una prospettiva etica: la costruzione «di una città “buona e giusta”, capace non solo di far vivere i suoi abitanti, ma di farli vivere bene». Tre le possibili proposte: una prossimità che incontra, una che aggrega e la questione abitativa. La prossimità che incontra ricorda da dove viene la società civile che si rappresenta, cioè la capacità e la scelta di “farsi prossimi” gli uni agli altri. In concreto significa pensare a «figure e funzioni nuove, da ideare e formare rispetto a competenze specifiche e necessarie. Significa lavorare sulla prossimità e l’ascolto, quindi su figure, luoghi e funzioni che riscrivano la capacità di esserci accanto alle persone, andare verso le persone. Significa pensare a figure stabili sui territori, dai portieri sociali ai custodi sociali». Con la prossimità che aggrega si intende «la capacità di raccordo, e integrazione, cioè pensare a spazi fisici integrati sia rispetto alle competenze espresse sia per titolarità, multifunzionali, riconoscibili nel loro essere una risorsa condivisa, comunitaria».La questione abitativa oggi è un elemento determinante per la politica complessiva della città. Da questo deriva la convinzione che le politiche abitative «debbano procedere strettamente legate alle politiche di inclusione e di coesione sociale. La casa per tutti è una scelta per dare risposta a un bisogno, ma anche una scelta culturale e politica per la città nel suo complesso».La proposta finale degli organizzatori è quella di iniziare a collaborare per una stesura di una “Lettera aperta alla città” quale manifesto delle idee, il primo «prodotto comune da diffondere alle istituzioni locali e alla cittadinanza, attraverso i canali che ciascuno di noi saprà e potrà attivare». Come dice Aristotele: «la città sorge per rendere possibile la vita e sussiste per produrre le condizioni di una buona esistenza».