08/01/2009
La Fondazione Mazzolari di Bozzolo – provincia di Mantova e diocesi di Cremona – sta predisponendo un’ampia serie di eventi per ricordare i 50 anni della scomparsa del sacerdote lombardo (avvenuta il 12 aprile 1959), il cui messaggio di rinnovamento ecclesiale e civile è strettamente legato al dettato evangelico. Ne parla Giorgio Vecchio, storico dell’Università di Parma e presidente del Comitato scientifico della Fondazione.
I poveri, i lontani, l’ecumenismo, un «pacifismo intransigente» sono alcuni dei tratti caratterizzanti la figura di don Mazzolari. Quali sono i fondamenti del suo pensiero e della sua azione pastorale?
Penso che tutto derivi dal suo intimo: don Primo era “un prete che ci credeva”, cioè aveva preso molto sul serio la sua vocazione sacerdotale. Ciò che lui annunciava dal pulpito o ciò che scriveva sgorgava da una fede profonda. Si sforzava di vivere fino in fondo il messaggio evangelico. Potremmo rileggere la sua vita come un continuo tentativo di maturare nella fede. Già gli anni della formazione in Seminario (fu ordinato nel 1912) furono vissuti come una ricerca incessante. Le pagine del suo diario sono ricche di note sulle letture di ogni genere che compiva, spaziando dalla teologia alla filosofia, dalla letteratura alla politica. Su tutto c’era già l’esigenza di porre il Vangelo a confronto con le domande del mondo contemporaneo. In tema di ecumenismo e di attenzione ai lontani e ai poveri imparò molto dal suo vescovo, monsignor Geremia Bonomelli. La voglia di ricercare sempre lo aiutò a maturare.
In che senso?
Nel Mazzolari giovane, ovviamente, non tutto era così chiaro come nel Mazzolari anziano. Penso al tema della pace: tutti ricordiamo il suo messaggio radicalmente pacifista – proprio perché fondato sul messaggio evangelico e quindi sul rispetto di ogni uomo come figlio di Dio -, ma pochi teniamo conto che da giovane egli fu favorevole alla guerra. Proprio riflettendo su quelle esperienze e sulle tragedie della seconda guerra mondiale approdò al pacifismo. Ma, ripeto, al fondo di tutto sta la sua passione per Gesù e per il Vangelo.
Il parroco di Bozzolo è stato scrittore molto noto, giornalista dalla penna tagliente, predicatore e oratore apprezzato. Lo si può ritenere un comunicatore efficace, al di là del “successo” delle sue tesi?
Che sia stato un comunicatore efficace, lo dimostra la lunghissima serie di conferenze e di articoli di giornale che gli chiedevano. Girò tutta l’Italia, predicò nei più diversi ambienti, da quelli della Fuci e dei Laureati di Azione Cattolica alla Missione di Milano del 1957 su richiesta di monsignor Montini, allora Arcivescovo. Partecipò ai congressi degli scrittori cattolici italiani, conobbe un’infinità di nomi celebri, tenne discorsi in piazza durante le campagne elettorali. I suoi articoli erano apprezzati anche su numerose testate dell’epoca… Si tratta di centinaia di scritti, considerando anche quelli apparsi sulla sua creatura, Adesso, sorta proprio sessant’anni orsono, il 15 gennaio 1949. Certo, molte delle sue tesi non passarono allora e farebbero fatica a passare oggi. Giudicare sull’efficacia della sua parola è comunque impossibile: diciamo che don Primo collaborò alla diffusione del messaggio cristiano e fu un buon seminatore: i frutti li può giudicare soltanto lo Spirito Santo.
Don Primo ha vissuto quasi tutta la sua esistenza in “periferia”, in piccoli centri della diocesi di Cremona, sull’argine del Po. Eppure ha contrastato il fascismo, ha operato per la ricostruzione morale dell’Italia post-bellica ed è ritenuto un protagonista nella cattolicità del 1900. A mezzo secolo dalla sua morte, Mazzolari ha ancora qualcosa da dirci?
Una vita in periferia non è necessariamente una vita povera e insignificante. Essere parroco in un paese di campagna non gli impedì di far sentire la sua voce in tutta Italia. Mazzolari scriveva e viaggiava molto. E a Bozzolo arrivavano visitatori da tutte le regioni. La sua corrispondenza è enorme: gli scrivevano amici e sconosciuti, laici e preti, cristiani e laici. Tutto è oggi conservato nel suo archivio. Fu direttore spirituale e consigliere di moltissime donne, madri di famiglia e suore. Ogni notte, magari stanco e con qualche problema di salute, rispondeva a tutti. Cosa ci può dire oggi? Anzitutto che la fede in Gesù è degna di essere vissuta e non limita mai l’intelligenza e la libertà dell’uomo. Poi che questa fede si apre di per sé a tutti: l’unico estremismo ammesso è nella capacità di amare. E ancora, don Primo ci invita a ragionare con la nostra testa. Il suo amore indiscusso per la Chiesa – segnato da castighi e da umili “obbedisco” – fu sempre accompagnato dalla volontà di pensare e ricercare, anche a costo di scontrarsi con certi conformismi del suo tempo. Infine si sforzò, in anticipo sul Vaticano II, di dare spazio e di valorizzare il laicato.