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Sirio 18 - 24 novembre 2024
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Intervista

«Don Gnocchi beato? Gioia, emozione e più impegno»

L'annuncio della beatificazione�ha suscitato molti sentimenti in coloro che guidano oggi la Fondazione nata dalla fantasia della sua�carità e lungimiranza. Parla il presidente, mons. Bazzari -

Pino NARDI Redazione

28 Gennaio 2009

Emozione, grande gioia, ma anche la consapevolezza di maggiore responsabilità. Sono questi i sentimenti espressi da monsignor Angelo Bazzari, presidente della Fondazione Don Gnocchi, alla notizia della beatificazione di don Carlo. Una “baracca”, quella voluta dal “padre dei mutilatini”, che grazie agli “amis” continua sulle nuove frontiere dei bisogni, all’insegna della qualità, della managerialità, guidata dallo spirito di carità e solidarietà. Con un’ambizione: dare un’identità più solida al vasto mondo del non-profit. E un annuncio: l’ampliamento del centro milanese di via Capecelatro.

Come ha accolto la notizia della beatificazione di don Gnocchi? Cosa significa per lei che è il suo terzo successore?
Nella mia coscienza c’è stata come una lotta fra il dono e l’impegno. Da una parte il fatto di essere successore di un santo mi fa sentire a una distanza siderale, come fra un gigante e un pigmeo. Personalmente mi sono sentito schiacciato da questa grandezza. Dall’altra la sensazione è di grande commozione, di traboccante gioia, con la responsabilità di sedere su una sedia e guidare il volante di una macchina che ha un fondatore che in questo momento ci è diventato anche protettore. Con la differenza tra la genialità, la fantasia della carità di don Gnocchi e la sua lungimiranza e noi che ci “arrabattiamo” alla guida della “baracca”.

Qual è il ruolo della Fondazione oggi nel mondo sanitario-assistenziale?
Da una decina d’anni sto vedendo avanzare uno stridentissimo contrasto nelle strutture dei religiosi, che dovrebbero essere sul “libro mastro” del Vangelo, nate da giganti della carità, di cui hanno custodito il carisma e perpetuata l’attività. Non avendo fatto gli adeguamenti e i cambiamenti rispetto al costume e le normative che regolano il Paese, adesso sono in grande difficoltà, coincidendo questo anche con la crisi delle vocazioni. Invece don Gnocchi non ha fondato né congregazioni né ordini, ma semplicemente ha lasciato l’opera, ha saltato quasi un anello di questa catena. Quindi noi non abbiamo questi problemi: siamo fondazione di ispirazione cristiana, di matrice certamente ecclesiale, ma anche con un’anima un po’ più laica, proprio perché abbiamo con noi diverse congregazioni religiose, ma non è una congregazione che la gestisce. Questo ci porta a guardare avanti: il valore per me non è come un lampione staccato dalla realtà, ma rimodulato dentro la realtà.

Cosa intende?
Valore per me è la sintesi armoniosa ed equilibrata di tre aspetti: la carità e la solidarietà; le competenze cliniche, scientifiche e tecnologiche; la capacità gestionale manageriale. Se ne prevale qualcuna schiacciando il resto vediamo le deformazioni e le caricature. La Fondazione non ha questi problemi, perché è il tentativo della sintesi di carità e del “quinto evangelio” scritto da don Gnocchi. Questo è il patrimonio, le radici a cui ci dobbiamo rifare, ma declinato oggi vuol dire che dobbiamo agire con managerialità. Siccome la nostra natura è anche quella di essere non-profit, vorrei spingere a far diventare la Fondazione non il capofila, ma uno dei motori di cambiamento, per sottrarre il mondo non-profit dalla nebulosa, definendone meglio l’identità, il volto e il ruolo nel Paese nell’ambito socio-sanitario. Dall’altra, aiutare a mixare di più e meglio questo mondo di matrice cattolica che fa fatica a trovare l’integrazione, a valorizzare il patrimonio e le energie.

Come emerge l’ambrosianità del beato?
Emerge in una figura caleidoscopica. È un sacerdote ambrosiano, quindi la sintesi tra la praticità e la spiritualità sociale. Poi è un educatore formidabile: aver tradotto, da educatore e non da assistente sociale, la sua vocazione in solidarietà con i mutilatini e i poliomielitici. Terzo, aver fatto il cappellano militare volontario: è lì dove ha avuto la sua “caduta da cavallo”. In una sua lettera scrive che ha seguito questi giovani, perché loro erano chiamati per dovere, mentre lui per amore. È diventato così l’Apostolo della solidarietà, il padre dei mutilatini, l’angelo dei bimbi, il precursore della riabilitazione perché questa è la sua specificità rispetto a don Orione, don Guanella, don Calabria. Quindi è diventato un imprenditore della carità: aveva qualità imprenditoriali notevolissime. Poi profeta del dono degli organi. È riuscito a farlo, perché è un prete lombardo e ambrosiano, cresciuto nel Seminario con l’educazione che allora veniva data dal cardinal Ferrari, con forte caratterizzazione sociale e pastorale, in una Chiesa concreta. Per cui oggi la beatificazione è un restituire don Gnocchi alla diocesi, non più solo come prete ambrosiano di grandi qualità umane, ma anche quasi come santo con le radici in questa diocesi, ma con teatro della sua attività l’Italia e il mondo.

Quali nuovi impegni per la Fondazione?
Svilupperemo il nostro centro di Milano di via Capecelatro col terreno che abbiamo acquistato negli anni scorsi, creando la struttura Irccs (Istituto di ricovero e cura a carattere scientifico) abbinando l’assistenza con la ricerca (quindi laboratori di ricerca di base, clinica bioingegneristica). Una grande torre in cui condenseremo tutta la formazione, proseguendo i contatti con le 28 università, i corsi, i master, perché intendo virare in questa direzione anche la Fondazione sempre per quel servizio al mondo del non-profit di un’ulteriore qualificazione anche del management. All’interno di tutto questo collochiamo la chiesa di don Gnocchi e il museo multimediale. Il 28 febbraio, la data di morte di don Carlo, posiamo la prima pietra per la chiesa e il museo.

Proprio dove riposa don Gnocchi…
Sì, lo faremo lì accanto. Ricordando quando Giovanni Paolo II, in una memorabile udienza alla Fondazione del 2002 in occasione del centenario della sua nascita, definì don Gnocchi come un indimenticabile maestro di vita, un seminatore di speranza.

Monsignor Angelo Bazzari