«Celebriamo la festa perché vogliamo essere profeti di un mondo nuovo». È sintetico e chiaro don Giancarlo Quadri, responsabile diocesano della Pastorale dei migrati, quando traccia il bilancio della Festa delle genti che si è svolta a Lecco nelle scorse settimane. E guarda al futuro, annunciando un’attenzione alle seconde generazioni, i “nuovi italiani”.
Qual è allora il suo bilancio della Festa?
Si può celebrare una festa in due modi diversi: perché uno ha ottenuto un grande risultato oppure in previsione di qualcosa, una festa di inaugurazione. La prima sarebbe una festa di vittoria, la seconda di profezia. Vedo nelle Feste delle genti piuttosto una profezia che una vittoria, perché ci auguriamo che prosegua il cammino di integrazione. E poi le Feste delle genti si stanno moltiplicando a dismisura. Il percorso realizzato nella Zona di Lecco, gli incontri serali nelle comunità cristiane per spiegare il senso dei passi da compiere, è la strada normale di sensibilizzazione che facciamo tutti gli anni. Al termine verso metà maggio-inizio giugno, celebriamo la Festa delle genti. Da almeno tre anni queste Feste si sono moltiplicate: sono così tante le parrocchie che ci chiedono qualcuno che li aiuti, che canti o che animi la giornata, che non sempre riusciamo a soddisfare queste richieste. C’è una certa fioritura su tutto il territorio della Diocesi. Questo è un fatto molto positivo, perché è uno dei pochi momenti di vera integrazione.
Quest’anno nella Festa di Lecco la novità è stata la festa del pane…
Sì, una formula nuova: diversi popoli del Mediterraneo – però si potrebbe benissimo estendere a tutti quanti i popoli – sono stati invitati a fare il loro pane e a presentarlo nella festa finale “I pani del Mediterraneo”. Il fatto di scoprire in un semplice gesto molto familiare, di tutti i giorni, quello del fare il pane, un’identità anche tra etnie, gruppi e popoli diversi, è emblematico del cammino che si può percorrere riscoprendo anche altri gesti che parlano di unione, di comunione e di comunità.
Si è conclusa l’ottava edizione del concorso “Immicreando”. Come lo valuta?
Con “Immicreando” si invitano le persone che partecipano al concorso a mettere in luce i valori, i modi di vivere, le tradizioni riscoperte come uguali o molto simili nel percorso migratorio e che sostengono speranze e fiducie che il migrante nonostante tutto non perde. E poi il fatto che il popolo più vituperato in questi tempi, i rom, presenta un suo adolescente che vince il concorso “Immicreando” è un bellissimo segno. Nonostante gli aspetti negativi, che purtroppo siamo pronti ad addossare ai rom, ecco che spunta una margherita, un fiore che la dice lunga su quanto un’abitudine a sostenere queste specializzazioni potrebbe portare anche nel campo dei migranti.
Quindi anche la cultura può essere un modo per conoscersi meglio tra le genti e per integrarsi?
Direi di sì, ma soprattutto da parte degli italiani sosterrei il dovere di sostenere tutti gli aspetti positivi che la migrazione presenta, perché proprio così riusciremo finalmente a formare quel popolo nuovo di cui tante volte discutiamo.
Eppure, don Quadri, non mancano i tanti problemi…
Infatti: i ricongiungimenti familiari non procedono bene; la normalità della richiesta dei permessi di soggiorno è una cosa “pazzesca”; i legacci burocratici; i rifugiati e richiedenti asilo sono sottomessi; la mentalità corrente mette il migrante all’ultimo posto ancora oggi.
Quali sono i progetti della Pastorale migranti per il futuro?
Celebriamo la festa perché così prendiamo coraggio per quel cammino e per quelle mete che ancora ci aspettano. Quali sono? Il prossimo deve essere l’anno delle seconde generazioni. Noi abbiamo già messo in campo ricerche, progetti concreti da fare insieme con Pastorale giovanile e con altre Pastorali della Diocesi, per sottolineare che dobbiamo partire da un modo nuovo di guardare alle nuove generazioni. Non parliamo più di nuovi immigrati, perché le giovani generazioni sono i nuovi italiani, gli italiani del domani. Quindi se lavoriamo bene con loro, avremo un popolo veramente nuovo. Certo, non dobbiamo dimenticare che esistono gli aspetti negativi, come ricordavo prima, però celebriamo la Festa perché siamo sicuri che il popolo rom potrà mettere in luce i suoi valori, che i rifugiati e i richiedenti asilo potranno essere accolti con gioia, che le comunità etniche che già da anni lavorano positivamente sapranno sempre di più mandare avanti i loro adolescenti e giovani, per far capire che la società italiana ha bisogno di queste persone. «Celebriamo la festa perché vogliamo essere profeti di un mondo nuovo». È sintetico e chiaro don Giancarlo Quadri, responsabile diocesano della Pastorale dei migrati, quando traccia il bilancio della Festa delle genti che si è svolta a Lecco nelle scorse settimane. E guarda al futuro, annunciando un’attenzione alle seconde generazioni, i “nuovi italiani”.Qual è allora il suo bilancio della Festa?Si può celebrare una festa in due modi diversi: perché uno ha ottenuto un grande risultato oppure in previsione di qualcosa, una festa di inaugurazione. La prima sarebbe una festa di vittoria, la seconda di profezia. Vedo nelle Feste delle genti piuttosto una profezia che una vittoria, perché ci auguriamo che prosegua il cammino di integrazione. E poi le Feste delle genti si stanno moltiplicando a dismisura. Il percorso realizzato nella Zona di Lecco, gli incontri serali nelle comunità cristiane per spiegare il senso dei passi da compiere, è la strada normale di sensibilizzazione che facciamo tutti gli anni. Al termine verso metà maggio-inizio giugno, celebriamo la Festa delle genti. Da almeno tre anni queste Feste si sono moltiplicate: sono così tante le parrocchie che ci chiedono qualcuno che li aiuti, che canti o che animi la giornata, che non sempre riusciamo a soddisfare queste richieste. C’è una certa fioritura su tutto il territorio della Diocesi. Questo è un fatto molto positivo, perché è uno dei pochi momenti di vera integrazione.Quest’anno nella Festa di Lecco la novità è stata la festa del pane…Sì, una formula nuova: diversi popoli del Mediterraneo – però si potrebbe benissimo estendere a tutti quanti i popoli – sono stati invitati a fare il loro pane e a presentarlo nella festa finale “I pani del Mediterraneo”. Il fatto di scoprire in un semplice gesto molto familiare, di tutti i giorni, quello del fare il pane, un’identità anche tra etnie, gruppi e popoli diversi, è emblematico del cammino che si può percorrere riscoprendo anche altri gesti che parlano di unione, di comunione e di comunità.Si è conclusa l’ottava edizione del concorso “Immicreando”. Come lo valuta?Con “Immicreando” si invitano le persone che partecipano al concorso a mettere in luce i valori, i modi di vivere, le tradizioni riscoperte come uguali o molto simili nel percorso migratorio e che sostengono speranze e fiducie che il migrante nonostante tutto non perde. E poi il fatto che il popolo più vituperato in questi tempi, i rom, presenta un suo adolescente che vince il concorso “Immicreando” è un bellissimo segno. Nonostante gli aspetti negativi, che purtroppo siamo pronti ad addossare ai rom, ecco che spunta una margherita, un fiore che la dice lunga su quanto un’abitudine a sostenere queste specializzazioni potrebbe portare anche nel campo dei migranti.Quindi anche la cultura può essere un modo per conoscersi meglio tra le genti e per integrarsi?Direi di sì, ma soprattutto da parte degli italiani sosterrei il dovere di sostenere tutti gli aspetti positivi che la migrazione presenta, perché proprio così riusciremo finalmente a formare quel popolo nuovo di cui tante volte discutiamo.Eppure, don Quadri, non mancano i tanti problemi…Infatti: i ricongiungimenti familiari non procedono bene; la normalità della richiesta dei permessi di soggiorno è una cosa “pazzesca”; i legacci burocratici; i rifugiati e richiedenti asilo sono sottomessi; la mentalità corrente mette il migrante all’ultimo posto ancora oggi.Quali sono i progetti della Pastorale migranti per il futuro?Celebriamo la festa perché così prendiamo coraggio per quel cammino e per quelle mete che ancora ci aspettano. Quali sono? Il prossimo deve essere l’anno delle seconde generazioni. Noi abbiamo già messo in campo ricerche, progetti concreti da fare insieme con Pastorale giovanile e con altre Pastorali della Diocesi, per sottolineare che dobbiamo partire da un modo nuovo di guardare alle nuove generazioni. Non parliamo più di nuovi immigrati, perché le giovani generazioni sono i nuovi italiani, gli italiani del domani. Quindi se lavoriamo bene con loro, avremo un popolo veramente nuovo. Certo, non dobbiamo dimenticare che esistono gli aspetti negativi, come ricordavo prima, però celebriamo la Festa perché siamo sicuri che il popolo rom potrà mettere in luce i suoi valori, che i rifugiati e i richiedenti asilo potranno essere accolti con gioia, che le comunità etniche che già da anni lavorano positivamente sapranno sempre di più mandare avanti i loro adolescenti e giovani, per far capire che la società italiana ha bisogno di queste persone.