17/03/2008
di Filippo MAGNI
“Nel silenzio di questo istante, parole troppo spesso udite risuonano di niente, non trovano risposte”. Con questa strofa inizia il canto d’ingresso che accoglie il cardinale Dionigi Tettamanzi in duomo sabato 15 marzo per la veglia “in Traditione Simboli”. A cantarla, oltre 7.000 giovani riuniti nella cattedrale milanese: piene le panche, moltissimi anche i ragazzi seduti per terra nelle navate laterali, giunti per celebrare l’ingresso nella Settimana Santa e ascoltare il discorso del loro arcivescovo. Tettamanzi non delude le attese, accetta la sfida dei giovani e pronuncia parole tutt’altro che “risuonanti di niente, che non trovano risposte”.
«In questa Veglia – ha esordito il cardinale – desidero rivolgere al Signore una preghiera speciale per ciascuno di voi, affinché possa realmente fare esperienza di Cristo risorto, così come è stato per l’apostolo Paolo in viaggio verso Damasco. Solo l’incontro vivo con il Risorto, infatti, può dare alla vostra vita quella realizzazione che voi tutti andate cercando e quel futuro nel quale già sperate». Il futuro: una strada che il venticinquenne Saulo, figura ispiratrice della serata, vedeva chiaramente davanti a sé, prima che l’incontro con il Signore sulla strada per Damasco e dunque la conversione rivoluzionassero la sua vita.
Per i giovani del 2008 il domani è invece un’immagine molto più sfuocata: «Il tempo dell’università – ha denunciato l’arcivescovo – è segnato dal compito di costruirsi dei piani di studio che spesso variano e si devono continuamente adeguare. L’ingresso nel mondo del lavoro è caratterizzato dalla flessibilità e dalla precarietà, con ripetuti contratti a progetto per tempi determinati. Molto spesso anche i legami affettivi risentono di un basso investimento sulla perseveranza e sulla definitività. Un giovane ha così la sensazione di camminare più nelle sabbie mobili che su un selciato stabile». L’atteggiamento peggiore con cui affrontare queste difficoltà, però, è la rassegnazione, spiega Tettamanzi: «Non rinunciate, cari giovani, alla ricerca della vostra vocazione, cioè a comprendere qual è il vostro posto nel piano di Dio e nelle dinamiche del mondo».
Saulo incontra il Signore e ne rimane folgorato: i suoi progetti si sgretolano, le sue convinzioni vacillano. È una crisi vera e propria, di quelle che possono abbattere una persona e che in diversi modi sono frequenti anche oggi. «Quando va male un esame all’università – ha ammonito il cardinale – o un progetto di lavoro, quando una relazione è in difficoltà, quando non siamo soddisfatti di noi stessi, dobbiamo poter dire che è fallita quella situazione e non, invece, che siamo noi dei falliti. Occorre dunque collocare un’esperienza deludente dentro la totalità della nostra vita e della realtà nella quale siamo immersi. Avremo una visione più distaccata e reale di quanto ci accade e avremo la forza di leggere con maggiore obiettività il momento che stiamo attraversando».
L’esperienza della crisi può deprimere, gettare a terra come accade a Saulo, ma anche spingere un giovane a «riflettere sulle domande più importanti della vita, sulle questioni che deve affrontare, sulle risposte che deve trovare, senza rimandarle in continuazione». «E proprio il Signore, il crocifisso risorto, combattuto da Paolo, gli comanda: “Alzati!”. Èil verbo della risurrezione, è l’entrare in una vita nuova, sollevandosi dalla caduta e riprendendo il cammino. Così, quel Dio che ha fa cadere in frantumi le certezze di Paolo, che lo ha fermato nella sua ira e nelle sue intenzioni violente, è quel Dio che lo risolleva dal suo fallimento e lo rimette in piedi». Da soli è difficile rialzarsi, suggerisce il cardinale che «non serve ostinarsi a pensare di essere sempre in grado di cavarsela da soli, di potercela fare per conto proprio, ma è necessario farsi prendere per mano».
Crisi personali, difficoltà affettive, problemi lavorativi, instabilità: c’è il rischio di ridurre a sé ogni preoccupazione. Il richiamo dell’arcivescovo Tettamanzi alla vita pubblica è chiaro: «Non può un giovane disinteressarsene né essere indifferente; non può delegare né credere di stare bene comunque, occupandosi solo di sé. Di fronte alla cultura, alla società civile e alla politica, un giovane credente deve porsi con un desiderio serio di confronto e di partecipazione». Nel clima odierno, precisa il cardinale, la partecipazione sociale non è solo un dovere, ma anche una necessità: «La cultura e la società hanno bisogno oggi di giovani che imparino ad entrare nella città con la passione per la verità e il bene comune e non con l’obiettivo della carriera, del potere, dell’affermazione di se stessi».
La conclusione dell’omelia di Tettamanzi è un invito in vista della passione, morte e risurrezione di Cristo: «Contempliamo Gesù nei suoi gesti e nelle sue parole, condividiamo la sua sofferenza nella passione e la sua gioia nella risurrezione, promettendo di rinnovare la nostra fede per essere suoi strumenti eletti nella Chiesa e nella città dell’uomo».