28/11/2008
di Luisa BOVE
«Una volta nelle fabbriche per le benedizioni natalizie si entrava al mattino e si usciva la sera perché si giravano tutti i reparti», ricorda don Raffaello Ciccone, responsabile diocesano della Pastorale del lavoro. Quando gli chiedevano di andare fuori orario si presentava qualche minuto prima che finisse il turno, in ogni caso voleva sempre il parere favorevole della commissione interna e dei dirigenti, «perché era un’invasione di campo».
Ancora oggi c’è chi chiede di benedire un locale o una macchina, «ma per me è più importante fermarsi a pregare, evitando l’aspetto magico della benedizione con l’acqua». Ci si raduna in una sala, si legge un testo biblico, si fa una breve riflessione sul mondo del lavoro e sul mistero del Natale. «Il primo momento spesso è di disagio – ammette Ciccone -, poi l’ambiente si “ammorbidisce” e questo gesto viene colto come un momento di umanizzazione».
Nelle ditte piccole a conduzione familiare il prete passa quasi senza avvisare, i titolari lo conoscono e lo aspettano. «Nelle aziende grandi invece il contatto può avvenire attraverso un operaio o un gruppo di Pastorale del lavoro presente in fabbrica», spiega don Giorgio Maspero di Varese. Gli capita di andare in ditte come la Macchi di Venegono Inferiore e la Agusta di Vergiate. «Di solito vado al mattino, i lavoratori vengono radunati in alcuni reparti e partecipano numerosi. Quest’anno con l’aria che tira sarà più difficile dire qualcosa, la gente è preoccupata. Il Natale però è l’occasione per dire parole di speranza».