di Maria Teresa Antognazza
Non ha abbandonato neppure per un istante il suo sottile humor, misto sempre a grande capacità di penetrazione del presente con le sue sfide e le sue provocazioni per la coscienza cristiana, il Cardinale varesino per eccellenza.
Attilio Nicora, che in Vaticano ricopre oggi il delicatissimo incarico di presidente dell’Amministrazione del patrimonio apostolico della Santa Sede, ha iniziato proprio da qui, dalla Basilica di San Vittore, il suo cammino ecclesiale: e qui, mercoledì 23 agosto, c’erano ad ascoltarlo ancora una volta, fianco a fianco dei convegnisti, molti amici di scuola e di oratorio. «Non mi spiego – ha detto ironicamente, accingendosi all’omelia e suscitando la sincera ilarità dei fedeli – il motivo della mia presidenza di questa celebrazione. Lo giustifico in due modi estrinseci: per le mie origini varesine e per la “funzione decorativa” che in certi casi possono avere i porporati!».
Ma le battute hanno presto lasciato il passo alle riflessioni profonde, come un istante prima dell’inizio della celebrazione eucaristica, quando Nicora aveva risposto ai giornalisti che lo interpellavano sulla capacità di infondere speranza al mondo moderno, ribadendo con forza il centro del messaggio espresso nel corso di tutta la Settimana Liturgica Nazionale: «Possiamo portare e annunciare speranza solo a partire dalla fede, dalla convinzione personale che il principio della nostra speranza è Gesù Cristo, che è una presenza sempre viva per la sua Chiesa. Ciò deve poi tradursi nel continuo rinnovamento del mondo. Nella celebrazione eucaristica possiamo unirci sempre più a Cristo e diventare testimoni di speranza».
Sullo stesso filone ha tracciato ai fedeli, al termine dell’omelia, le linee guida che a suo giudizio debbono ispirare coscienze e gesti di una cristianità rinnovata proprio dall’incontro con il Risorto. «Così, fatti nuovi, possiamo far cose nuove nel mondo, nello stile di un libero servizio mosso dall’amore trinitario a noi partecipato e sul modello di Gesù, l’uomo perfettamente riuscito».
Ed entrando nel merito di quali possono e debbono essere gli atteggiamenti “nuovi” del credente testimone, il Cardinale varesino ha auspicato un «rinnovamento della cristianità italiana». Parole taglienti e molto precise, soprattutto dette alla luce delle “fatiche” di dialogo e di discernimento a cui oggi la Chiesa e i credenti del nostro Paese sono chiamati da fatti e dibattiti che continuano a scuotere le coscienze, scadendo però spesso in superficiali ideologismi.
«Urge – ha dunque “tuonato” Nicora sotto le volte della sua San Vittore – la presenza animatrice di cristiani liberi da ogni paura, da ogni desolazione rassegnata, da ogni dubbio identitario come da ogni inutile arroganza, convinti che la causa cattolica è la causa dell’uomo e disposti a dedicarvisi con generosità, gratuità, creatività, coraggio di provare e riprovare; liberi da meschinità partigiana e da schematismi polemici; capaci di far prevalere le ragioni dell’unità nelle cose che contano, con gioiosa libertà dei figli di Dio, per continuare a edificare una città terrena non lontana dalla compiutezza della città celeste. Cristiani – ha continuato il Cardinale – alimentati e sostenuti dalla speranza escatologica che vibra già nei loro poveri progetti mondani: la carità intelligente e operosa che si fa annuncio della carità evangelica e servizio solidale è l’unica realtà che sfida la precarietà del tempo e anticipa l’eterno compimento».
Parole da riprendere tra le mani come un vero programma di vita spirituale e di azione cristiana, per comunità, singoli e gruppi. Intendimenti ai quali Nicora ha fatto seguire un’amata preghiera medievale: “Tu che tutto conosci e tutto puoi, che ci nutri e ci guidi nel cammino di quaggiù, facci un giorno lassù tuoi commensali, coeredi e compagni dei cittadini della santa città. Amen”.