La presenza, nelle prime file della processione, di un gruppo di bimbi giapponesi elegantissimi in kimono, la rende probabilmente una delle funzioni più fotografate in piazza Duomo.
Diversi turisti infatti si soffermano accanto all’abside della cattedrale milanese, da dove parte la processione che accompagna in Duomo l’Arcivescovo di Milano, cardinale Angelo Scola.
Composto da 500 persone che innalzano rami di ulivo e foglie di palma, il corteo è arricchito anche da alcune presenze significative legate alla spiritualità laicale come l’Arciconfraternita del Sacramento e gli ordini di Malta e del Santo Sepolcro, ma è costituito soprattutto da fedeli di origine straniera (si distinguono i gruppi cinese, africano, polacco, giapponese, coreano, cingalese, ucraino, romeno) particolarmente invitati per l’occasione.
È proprio pensando a quei turisti («molti avevano sguardi distratti ma anche pieni di domande mentre scattavano le foto», commenta Scola), che il cardinale si chiede durante l’omelia se sia possibile «per l’uomo postmoderno credere a questo paradosso. Quello di un Dio che regna a partire dalla Croce”, e “tiene insieme la vittoria e la passione».
È il significato della Settimana Santa che inizia oggi, domenica delle Palme. Sette giorni, li definisce Il cardinale, «paradigma di tutte le altre settimane dell’anno e dell’intera nostra esistenza». Perché anche per noi uomini, aggiunge, «apre una speranza inaudita: la “passione”, anche estrema, non conduce al nulla; la morte non riesce ad opporsi alla vita, alla vittoria”. Da qui l’invito di Scola a partecipare alle vicende della Passione di Cristo “come se si trattasse di un nostro familiare, uno stretto parente».
A che condizioni è possibile credere al paradosso della vittoria attraverso la morte? La risposta si ottiene guardando verso Gesù, del quale le letture del giorno definiscono la regalità. «Il fondamento della sua regalità – predica l’Arcivescovo dal pulpito alto a una cattedrale piena – cioè del suo potere di offerta e di amore, si fonda sull’iniziativa del Padre con cui il Figlio amato è in continuo, fecondo rapporto». E al contrario dei modelli cui siamo abituati, prosegue, «il nostro Re è umile. La sua non è un’esibizione di forza, ma di mitezza». Terza e ultima caratteristica descritta dalle Scritture è che il suo sarà un regno di pace universale: «annuncerà la pace alle nazioni, il suo dominio sarà da mare a mare… fino ai confini della terra» (Lettura, Zc 9,10).
«Per mezzo di lui e in vista di lui sono state riconciliate tutte le cose…» – ripete l’Arcivescovo -: Cristo ha riconciliato la terra con il cielo, perché il Padre (il Dio invisibile) gli ha partecipato la sua potenza di grazia e di salvezza. La regalità di Colui che, Crocifisso, comporrà in Sé morte e vittoria, è la fonte della pace».
Parole che colpiscono, prosegue Scola, «guardando ai dolorosi conflitti e alle troppe forme di violenza ancor oggi diffuse”, che “creano sgomento nel nostro cuore». Ma non perdiamo la speranza, prosegue: «Ne è segno il fatto che siamo convenuti qui in Duomo, provenienti dalle molte nazioni che abitano la metropoli milanese e ne stanno costruendo il futuro e la nuova fisionomia, per affidare a Gesù la supplica per la pace. Il ramo di ulivo o di palma che esporremo nelle nostre case e nei nostri ambienti di vita sarà un segno che vogliamo essere autentici uomini di pace».
Una testimonianza che è chiesta a ciascuno, esorta: «Quando i cristiani confessano al mondo intero che Cristo è la pace intendono comunicare, in forza della morte e risurrezione di Cristo, che non si dà pace senza disponibilità da parte degli attori della vita personale e sociale a pagare di persona come fece Gesù, a superare l’inimicizia impegnando la propria vita per il bene di tutti». Avrà anche questo significato, aggiunge l’Arcivescovo, l’evento in programma in piazza Duomo il prossimo 8 maggio.
La conclusione dell’omelia è un pensiero ai difficili tempi di crisi in corso e ai piccoli segnali positivi che, sembra, stanno prendendo forma. «La vittoria del Crocifisso – sottolinea il cardinale – genera in noi solidarietà, condivisione del bisogno di quanti sono nella prova fisica e morale. E la condivisione è la condizione della riconciliazione. Tutti ne sentiamo la necessità».
Ne deriva la convinzione che, conclude Scola, «se pur nella grave prova che ancora ci attanaglia, sono reali i piccoli, primi germi di speranza che ci fanno pensare alla possibile uscita dalla lunga crisi, ancor più dobbiamo coltivare con energia quanto Gesù ci dona in questa Settimana Santa: condivisione, riconciliazione, pace. Allora verrà la vittoria».
Milano
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Il cardinale Scola nella Domenica delle Palme: Se sono reali i piccoli, primi germi di speranza che ci fanno pensare alla possibile uscita dalla crisi, ancor più dobbiamo coltivare con energia quanto Gesù ci dona in questa Settimana Santa
di Filippo MAGNI
13 Aprile 2014