La gente che esce dalla metropolitana, si ferma e guarda curiosa, si chiede cosa stia succedendo, perché sul bel sagrato, che sa di antico, della parrocchia San Michele Arcangelo in Precotto, si affollano in moltissimi.
L’“evento”, in effetti, c’è: è la Celebrazione che il cardinale Scola presiede per la Festa patronale. Visita attesa da oltre due anni e che viene a coincidere come racconta, con emozione, il parroco don Giancarlo Greco, «del tutto inaspettatamente con il mio cinquantesimo di Ordinazione sacerdotale».
La Messa, perché la chiesa non può contenere tutti i fedeli tra cui tanti ragazzi e bimbi, si celebra all’aperto, tra i campi da calcio, le curate e ampie strutture oratoriane che fanno di questa realtà un punto di aggregazione non solo giovanile.
Intorno, tra il traffico rumoroso, i mezzi pubblici, gli aerei che si alzano da Linate, gli alti palazzi di questa periferia nord est di Milano fino agli Venti, Comune fieramente autonomo, c’è la metropoli che cambia volto.
«Le porgo un benvenuto carico di riconoscenza qui dove centinaia di ragazzi, di genitori e nonni, si incontrano per giocare aggregarsi e pregare, guidati da allenatori e educatori che, a vario titolo, stanno cercando di dare stabilità al soggetto della Comunità educante», introduce il parroco, rivolgendosi all’Arcivescovo.
Sorridente il Cardinale, a sua volta, dice: «Sono contento di poter celebrare con voi in questo luogo, perché il tempio cristiano è, anzitutto, quello delle pietre vive convocate da Gesù».
La gioia è anche per il «poter toccare con mano la grande vitalità di questa Comunità cristiana, aperta, tesa a condividere la vita del quartiere, ma anche preoccupata dell’unità perché, in essa, la pluriformità rappresenta una grande ricchezza, al contrario, la pluriformità disperde e divide».
Una preoccupazione, questa, che in zone ormai totalmente multietniche come quelle che si affacciano sull’asse di viale Monza, si fa particolarmente significativa e che attraversa, come filo rosso, l’intera riflessione dell’omelia, proposta a partire dalla Liturgia della Parola, nella giornata, costruita su brani famosissimi. Come la prima Lettura, tratta da Deuteronomio, 6 – la preghiera recitata, due volte al giorno, da ogni ebreo osservante e fedele – che fa dire all’Arcivescovo: «Il Dio dei nostri fratelli maggiori è un Dio incarnato, infatti, la preghiera dell’“Ascolta, Israele”, è tutta tesa a far presente il Signore nella vita quotidiana».
Un rivolgersi a Dio che, con Gesù passo, morto e risorto, presente e vivo nell’Eucaristia, «comporta una modalità di coinvolgimento della libertà personale di ciascuno, come testimonia la decisione di venire qui così numerosi. La nostra è la fede che esprime l’incarnazione di Dio, il Dio con noi, il Dio che ci accompagna», osserva l’Arcivescovo.
Ma, come sperimentare tale presenza concreta «in una società travagliata come l’attuale, tendente a relegare Gesù a personaggio importante, ma del passato, che non avrebbe nulla a che fare con l’oggi, riducendo la fede a mito? Come superare il terribile fossato tra i tempi?»
La strada è chiara ed è scritta da più di duemila anni: è il comandamento dell’amore, come l’ha indicato il Signore quando ha istituito l’Eucaristia, quale «espressione dell’amore riproposta oggi».
Il richiamo è a comprendere a pieno le circostanze e i rapporti della quotidianità in modo da vivere in profondo l’Eucaristia domenicale. «Il cristiano deve operare questo lavoro che si chiama conversione o ascesi, mentre troppo spesso siamo tentati dalla distrazione». È la separazione tra fede – ridotta, nella migliore delle ipotesi, a buona intenzione – e vita che impedisce di cambiare il cuore.
Da qui, la consegna lasciata alla Comunità, nel riferimento alla Lettera pastorale: «Abbiate il sentimento e la mens di Cristo. Attraversate la realtà cercando di vedere come Lui ne sia il cuore. Questo è l’amore».
L’amore, appunto, qualcosa che occorre imparare e che, invece, «oggi è ridotto alla dimensione della passione e degli affetti, non incontrando mai il volto pieno degli altri e credendo che, se arriva il dovere, finisce il piacere. Ma non è così e lo vediamo nelle tante ferite della famiglie di oggi», scandisce ancora Scola che aggiunge: «Capiamo che un’epoca si chiude, ma ora occorre ricostruire, in una situazione assai frammentata, il presente e il futuro. Questo tempo è pieno di avventura, di fascino, ma anche di problemi gravissimi ai quali, soprattutto per i nostri figli, dobbiamo dare risposta. La grande via per questo “debito” di amore è la prossimità».
Il Vangelo con la parabola del Buon Samaritano, appena proclamata, ne è, d’altra parte, emblema, nell’indicare l’autentico significato del prossimo e del “farsi prossimo”: «Abbiamo necessità di essere realmente capaci di iniziativa verso tutti coloro che incontriamo, il prossimo non è solo chi mi è vicino, sono io che mi faccio tale. Proprio perché non posso tenere per me la bellezza di un incontro, come quello con Cristo, che cambia ogni giorno la vita, che fa assumere la prova in termini di crescita e non di abbattimento, rendendo possibile quell’anticipo di vita eterna che Gesù ha inaugurato per noi».
Infine, l’annuncio di don Greco: «A Precotto, tre famiglie e due adulti hanno dato la disponibilità a collaborare con la Caritas diocesana per accogliere una famiglia di profughi e la parrocchia mette a disposizione tre locali».
Una bella notizia che accoglie l’appello di papa Francesco e del Cardinale ad “aprire le porte” e che, prima dell’abbraccio finale, l’Arcivescovo stesso sottolinea con forza.
«Ho visto che da voi la varietà della proposta è intensa e tiene conto delle grande modificazione rispetto alla quale, come Chiesa, siamo talvolta siamo in ritardo. All’interno di questo dato di gratitudine verso tutti, vi raccomando una grande attenzione alla famiglia, come modalità e luogo privilegiato per riscoprire e vivere il pensiero di Cristo. Ricordiamo che la fede va oltre ogni etnia – tra la popolazione della parrocchia vi è anche una numerosa comunità eritrea, il cui sacerdote concelebra accanto al Cardinale – e che la comunione fa crescere il nuovo volto del cittadino europeo».