Obiettivo: comporre la separazione tra fede e vita. È questo il senso del progetto di «abbattere i bastioni» annunciato dal cardinale Angelo Scola nell’omelia della Messa Crismale dello scorso 28 marzo (in allegato nel box a sinistra). Una testimonianza della fede che supera i confini delle realtà ecclesiali per diffondersi in tutti gli ambiti di vita: dalla scuola, all’università, al mondo del lavoro. Un percorso già in essere, per esempio con le due serate di dialogo sulla fede tra i giovani e l’Arcivescovo, che si sono svolte nei mesi scorsi all’Università Statale di Milano e all’aeroporto di Malpensa. Cominciamo la riflessione su questa proposta con le considerazioni di monsignor Carlo Faccendini, vicario episcopale per la Zona I (Milano) e di Osvaldo Songini, preside del Collegio San Carlo di Milano e membro del Consiglio pastorale diocesano.
Sarà una scossa. Il cardinale Scola, nella Messa Crismale del Giovedì Santo, ha fatto un annuncio forte: impegnarsi per abbattere i bastioni. Questo sarà l’impegno della Chiesa ambrosiana nei prossimi mesi. Non si tratta di un calendario di eventi, piuttosto un «richiamo alle parrocchie a uno stile pastorale, con un atteggiamento di apertura, di attenzione, di ascolto della realtà, del territorio, degli ambiti di vita della gente», sottolinea monsignor Carlo Faccendini, vicario episcopale per la Zona di Milano. E proprio la grande città sarà innanzitutto al centro dell’attenzione, che si estenderà a tutta la Diocesi. Una metropoli in profonda trasformazione, che registra molte sofferenze sociali, economiche e morali e che attende una parola significativa dalla comunità cristiana. «Abbattere i bastioni con una fede che anima e sostiene la vita nel suo sviluppo ordinario, al di là di ogni dualismo, distanza, o peggio, di contrapposizione».
Il vero obiettivo di questo percorso – sottolinea Faccendini – «è superare la spaccatura tra fede e vita: su questo il cardinale Scola ci richiama quotidianamente. Evitare i dualismi, ritrovare l’unità dell’esperienza cristiana, non separare lo spirituale dal materiale. Una pastorale che educhi a far vedere come la fede è realtà capace di animare e sostenere la vita quotidiana, di darle un’anima».
Una riflessione che parte e che coinvolgerà tutta la Chiesa ambrosiana. Anche perché non si tratta di cominciare da zero, ma continuare il cammino di «allargare i paletti della tenda», di guardare oltre i cancelli parrocchiali per essere lievito e sale nella città dell’uomo. Le comunità sul territorio sono ricchissime di esperienze, anche molto innovative. Quello che serve è una loro valorizzazione per rompere barriere, i bastioni che impediscono di parlare a tutti, testimoniando una fede del quotidiano.
Osvaldo Songini, preside del Collegio San Carlo di Milano e membro del Consiglio pastorale diocesano, racconta esperienze che vanno proprio nel senso auspicato dall’Arcivescovo. «Nella mia comunità pastorale istituita di recente a Milano stiamo lavorando a un’attenzione al mondo della scuola. L’idea che ci anima è questa: i nostri figli frequentano le scuole del quartiere. Gli istituti affrontano gli stessi problemi educativi che riscontriamo anche noi in comunità quando affrontiamo i bambini, i ragazzi, gli adolescenti nel percorso dell’iniziazione cristiana, nel rapporto con i genitori, con l’autorità, la fragilità delle relazioni con gli adulti, tra i pari, la gestione del conflitto. Insomma i maestri, i professori, gli educatori, i catechisti devono fronteggiare la stessa tipologia di persona e quindi condividono una problematica educativa che deve vedere collaborare queste istituzioni. Se il territorio si arricchisce di questa sinergia, sono le persone ad avvantaggiarsene. Questo può creare nella comunità cristiana una prospettiva di stimolo anche ad essere presente sul territorio».
Il preside continua nel racconto di esperienze concrete sviluppate nelle comunità, con un’attenzione agli ambiti di vita. «L’Azione cattolica nella nostra parrocchia – racconta Songini – ha promosso incontri sul tema del dolore: come si affronta la malattia, come la si vive in famiglia, come si vive il rapporto con l’ospedale. E ancora sul lavoro che manca, il precariato o sull’accoglienza dell’anziano in famiglia. Insomma, tutti temi che riguardano gli ambiti di vita e la gente ha reagito positivamente, con un incremento di partecipazione, perché abbiamo parlato un linguaggio che li aiuta a capire come la fede, che è proclamata in Chiesa, è capace di dare una prospettiva di lettura degli eventi del quotidiano».
«Papa Francesco ha detto che una Chiesa autoreferenziale è una Chiesa malata. È un’espressione molto forte che indica davvero l’urgenza di superare questo circolo un po’ chiuso della nostra proposta pastorale – sottolinea Faccendini -. Ed è quello sul quale anche l’Arcivescovo ci sta richiamando da tempo. Credo allora che il lavoro che ci aspetta potrebbe essere questo: da un lato raccogliere quello che già si fa, collegarlo, metterlo in rete, farlo conoscere e potenziarlo perché ci sono iniziative pastorali anche straordinarie». Eccone un esempio. «Sono stato in un oratorio di una parrocchia al Gratosoglio, Sant’Antonio Maria Zaccaria. I giovani sono stati a Palermo allo Zen, hanno visto una modalità di doposcuola, sono tornati e l’hanno avviata lì. Hanno cominciato a visitare tutte le case di un quartiere con una percentuale molto alta di extracomunitari, si sono fatti conoscere, hanno fatto il doposcuola ma non all’oratorio, ma tra le case. Poi hanno cominciato a fare qualche festa dove venivano i genitori, anche di altre fedi. Infine li hanno invitati in parrocchia. Però la maggior parte del lavoro continuano a farlo nel quartiere».
A Milano, dice il Vicario episcopale, «raccolgo l’urgenza della casa, il problema della salute e della malattia, del lavoro che manca, delle solitudini».
«Occorre sensibilizzare la comunità a fare proprie queste ansie, fatiche e difficoltà, in modo che nella catechesi si innervino sensibilità nuove – dice Songini -. Si crea un reticolato che crea un modo nuovo di porsi nei confronti del rapporto tra Vangelo e vita. Cosa ci dice la parola di Dio su queste realtà? Come poter ascoltare il territorio che di questi problemi è intriso? Qual è la reazione dei cristiani? Come possiamo annunciare una prospettiva che la Parola di Dio può dare e che la nostra esperienza ecclesiale può recepire per lenire le sofferenze?».
Insomma, il cammino è cominciato. Più la riflessione sarà approfondita, maggiormente sarà efficace l’annuncio del Vangelo della speranza. Ma non si tratta di creare eventi, più o meno grandi, non è l’ennesimo calendario di appuntamenti: «Si tratta invece di ritrovare uno stile pastorale. L’evento lo si può fare anche, ma nella misura in cui concorre poi ad avviare, a dare inizio a pratiche buone», precisa Faccendini. «Occorrerà certo avere un progetto con qualche attenzione particolare. Ma ha ragione il Cardinale quando dice che questo è anche un cammino che impariamo a fare facendolo».
In questo percorso, il rapporto non dovrà essere unidirezionale, perché la Chiesa deve anche mettersi in ascolto della città: «Occorre custodire le due direzioni, la reciprocità – sottolinea Faccendini -: da un lato proporci e quindi coinvolgere la città con nostre proposte, dall’altro dobbiamo ascoltare la città perché si tratta di avere attenzione anche ad accogliere le invocazioni di aiuto, forme di collaborazione, anche verso problemi nuovi. Se davvero nasce una rete di attenzione, di solidarietà e di collaborazione, credo che questa sia la Chiesa».