Venerdì 27 gennaio la Visita pastorale del cardinale Angelo Scola farà tappa a Rozzano (Milano), dove, alle 21, l’Arcivescovo incontrerà i fedeli del Decanato presso il Cinema Teatro Fellini (viale Lombardia 53). «Il nostro Decanato si articola sul territorio di cinque Comuni: Basilio, Opera, Pieve Emanuele, Rozzano e Zibido San Giacomo – spiega il decano don Olinto Ballarini, responsabile della Comunità pastorale San Giovanni Evangelista di Opera -. In totale comprende 17 parrocchie, 3 Comunità pastorali e 3 unità pastorali».
Quale significato attribuite alla Visita pastorale?
La parrocchia oggi rimane cellula primaria della comunità cristiana, ma non è più legata a se stessa, è immersa in una rete di relazioni con altre parrocchie e istituzioni. Il Vescovo viene innanzitutto a incontrare le persone e le comunità. Non è un’ispezione. Cogliamone il senso, esprimendo la fraternità nell’accoglienza. Viene anche a incoraggiarci: ce n’è sempre bisogno. Prendiamoci anche noi le responsabilità per crescere come comunità.
Come vi siete preparati all’incontro col Cardinale?
I Consigli pastorali di tutte le parrocchie e comunità lavorano da giugno a questa visita, così come il Consiglio dei preti-diaconi-religiose e da poco anche il Coordinamento dei laici di decanato. La Visita pastorale è in realtà un insieme di momenti, una serie di tappe che dovranno portarci a identificare come Decanato un “passo in avanti” da proporre al Vescovo come nostro impegno. Si tratta di una scelta importante, che darà un indirizzo alla nostra pastorale e che avrà conseguenze sul lavoro dei prossimi anni in Decanato. La Visita si chiuderà in giugno con la venuta del Vicario generale monsignor Mario Delpini, che verrà a confermarci proprio in questo discernimento. Lo spazio per il coraggio e la creatività c’è.
Quali i problemi più presenti nel territorio?
Noi siamo una Chiesa di periferia, a stretto contatto con la città metropolitana, che da tempo vive direttamente il fenomeno dell’immigrazione e delle problematiche più delicate della modernità: la ricerca di una casa, di un lavoro, l’aumento dei casi di disagio mentale. Intorno al tema della casa, in particolare, si incontrano situazioni molto differenti: dalle condizioni difficili delle case popolari dell’Aler ai tanti appartamenti sfitti nelle nostre città (circa 450 solo a Opera). Nel nostro Decanato ci sono il carcere e diversi poli ospedalieri importanti: per le nostre parrocchie la carità verso le situazioni di sofferenza è una consuetudine, le nostre Caritas lavorano con intensità e su molti fronti. Ma proprio perché siamo comunità con tante fragilità, in strutture frammentate, messe di fronte a difficoltà sociali inedite (basti pensare alle persone divorziate di circa il 10% della nostra popolazione) siamo diventate comunità elastiche, snelle, agili, che devono portare il Vangelo in una realtà complessa e pertanto non possono avere ansie o preoccupazioni sulle cose da fare. Dobbiamo recuperare l’essenziale, accettare i cambiamenti in atto e lavorare per annunciare il Vangelo anche in questo contesto, perché siamo creati come Chiesa per portare il Vangelo a tanti e, compiendo questa missione, camminare e crescere insieme.
Dal vostro territorio sono partiti molti preti missionari…
Sì, in passato, ma anche recentemente: don Benvenuto è ripartito per lo Zambia, don Pierangelo Roscio per il Brasile, don Mauro Brescianini è appena tornato da Haiti e così via. Ma nella storia della Chiesa locale si sono radicate tante realtà importanti sul fronte della missionarietà, non solo all’estero: penso al Vispe, al movimento dei preti e consacrati partiti da don Cesare Volontè, alle tante parrocchie, soprattutto a Rozzano e Pieve, guidate dalla Comunità Missionaria Paradiso della Diocesi di Bergamo, ma anche al movimento dei preti operai del Mopp (Missione Operaia Pietro e Paolo). Qui la missionarietà e l’apertura si sono davvero espresse in tutta la loro ricchezza di carismi e di sensibilità.