«Abbiamo la necessità di promuovere unità e fratellanza, come globalizzazione dell’amore, una civiltà della cultura e della fede che ci guarisca dall’egoismo». Lo dice il cardinale Scola che, nella basilica di San Vittore a Varese, apre, insieme ai rappresentanti delle Chiese presenti nel territorio della Zona II, la Settimana di preghiera per l’Unità dei cristiani.
Dopo il saluto iniziale del prevosto della città, monsignor Gilberto Donnini, i canti e le melodie eseguite al meglio dal Gruppo vocale LaudiCanto e dall’orchestra Concentus Europae, composta artisti di diverse confessioni, introducono nella celebrazione ecumenica.
I diversi rappresentanti e responsabili portano, uno a uno, l’ampolla dell’acqua sull’altare intorno al Libro: ci sono don Franco Trezzi, responsabile della Comunità pastorale di Cocquio Trevisago, Angela Mirani, lettrice anglicana che rappresenta la Chiesa di Inghilterra, il diacono Antonio Montaggi della Chiesa metodista di Luino, il pastore Mark De Jonk per la Chiesa evangelica “La Sorgente” di Varese, Uwe Habenicht, pastore della Comunità ecumenico luterana di Ispra, Lidia Maggi, pastora della Chiesa battista di Varese. Il Vangelo è portato tra le mani da Ulricke Hesse, anch’essa pastora a Ispra e moglie del pastore Uwe. Il mondo ortodosso è presente con padre Pompiliu Nacu, decano per la Lombardia nord della Chiesa ortodossa romena e parroco a Monza, e padre Silviu Statu, della parrocchia ortodossa romena di Varese. Per parte cattolica ci sono i vescovi, monsignor Franco Agnesi, vicario episcopale della Zona di Varese, e monsignor Luigi Stucchi, il vicario episcopale di settore monsignor Luca Bressan e il responsabile del Servizio Ecumenismo e Dialogo della Diocesi, il diacono permanente Roberto Pagani.
Si prega e si canta insieme, ma soprattutto si ascolta la Parola di Dio nella pagina del Vangelo di Giovanni, al capitolo 4, scelta a livello mondiale come tema della Settimana di quest’anno. L’incontro del Signore al pozzo con la Samaritana guida la riflessione del Cardinale, che subito richiama i fatti drammatici di questi giorni e il sacrificio dei cristiani: «Ormai il numero delle vittime e dei perseguitati contemporanei per la nostra fede ha superato quello dei martiri dei primi secoli. Dobbiamo interrogarci sul tanto, troppo male presente nel mondo. Il gesto di comunione che stiamo compiendo si situa dentro questo contesto che vede il male all’opera mediante l’arma della divisione, della contrapposizione tra gli uomini, la volontà di dominio, l’istigazione alla violenza, il terrorismo e la guerra. La nostra preghiera comune non può non farsi invocazione di pace affinché lo Spirito del Risorto guarisca i cuori di tutti gli uomini a cominciare dai nostri».
Nel riferimento alla scelta del brano della Samaritana, operata dai cristiani brasiliani, Scola nota: «Il Cristianesimo in Brasile è stanco e sta conoscendo un momento di arresto e di involuzione, così per noi tutti, come per la Samaritana, l’incontro con Gesù diventa un fattore decisivo. Anche Gesù dopo il cammino è affaticato, sente il bisogno di fermarsi, ma trasforma questa situazione in un’occasione di dialogo. Nell’incontro, Gesù porta la Samaritana – significativamente una donna straniera, malvista per la sua situazione affettiva, estranea – a un cammino profondo che fa emergere il desiderio di pienezza che è in ogni uomo». Evidente il messaggio per una realtà odierna in cui «siamo sempre alla ricerca di ricette che ci possono esonerare dal cambiare la vita, dal diventare buoni, e di strategie per annunciare il Vangelo. Cristo ci dice che è solo la nostra sete di Vangelo che può suscitare negli altri questa stessa sete».
Così come i cristiani del Brasile hanno messo a confronto i due differenti modi di affrontare la stanchezza – uno segnato dalla rassegnazione e l’altro, quello di Cristo, che a partire dal bisogno spalanca al desiderio e contagia il cuore della Samaritana, conducendola all’acqua vera che disseta per sempre -, anche la nostra stanchezza deve realmente costringerci, come uomini europei affaticati per avere portato sulle spalle secoli e secoli di responsabilità, a un cambiamento profondo. Insomma, la nostra situazione potrebbe, può, deve essere vicina a quella della Samaritana, ma, nei fatti, è più simile a quella ai discepoli, presenti alla fine sulla scena del dialogo, «ma ottusi nel non riuscire a vedere il bene che si sta attuando». Come loro anche noi, infatti, non cogliamo «il disegno di salvezza che Dio sta operando. È questo il peccato di cui, come cristiani, dobbiamo chiedere perdono, soprattutto quando «le divisioni, l’irrigidirsi in un’identità priva di dinamismo possono renderci incapaci di vedere la salvezza. Rischiamo di cadere vittime di quella che papa Francesco chiama una “tristezza individualista che ci trasforma in persone risentite, scontente, senza vita”, di un narcisismo che esalta una libertà come puro volere di potenza», scandisce l’Arcivescovo.
Da qui l’invito che si fa appello: «In questo anno che vede le nostre terre al centro dell’interesse mondiale per Expo, è giusto ricordare che fa parte dei frutti della fede l’impegno di rendere il mondo più giusto e abitabile, il coraggio di denunciare senza ambiguità le ingiustizie – la “cultura dello scarto” – e che occorre promuovere solidarietà e fratellanza. Il compito di tutti i cristiani è proporre una globalizzazione dell’amore che guarisca dalla globalizzazione dell’indifferenza che ci ha preso. Tale compito rappresenta una sfida per l’ecumenismo dei nostri tempi. Che stasera sia un punto di speranza per relazioni rinnovate, perché il nostro cuore abbia un sobbalzo». Un “salto di qualità”, per camminare «più celeri e spediti», in vista di quell’ecumenismo di popolo che il Cardinale auspica con forza e del quale è testimonianza la celebrazione per cui si è volutamente scelta Varese.
La recita del Credo niceno-costantinopolitano, la preghiera di intercessione, il Padre Nostro, la benedizione, lo scambio della Pace, come segno tangibile di impegno condiviso e teso all’unità, la raccolta di offerte per i cristiani di Siria e Iraq, la preghiera tipica della missione nell’unità in Cristo elevata da tutti e il bel gesto di portare l’acqua benedetta da tale desiderio di unità – a richiamare l’acqua dell’incontro tra Gesù e la Samaritana – alle porte della basilica concludono la Celebrazione comunitaria.