In tempi di crisi, non solo economica e finanziaria, la «domanda» delle famiglie verso gli oratori «è fortissima». Sembrerebbe un dato in controtendenza, e invece molti genitori italiani si sono stancati di correre sempre dietro ai figli per fare loro da “tassisti” per le molteplici attività – gli sport, la musica, le lingue – e preferiscono affidarli a chi sa dare “lezioni di vita” attraverso un’idea di educazione a 360°, che parte dalla persona e si nutre degli ideali del Vangelo. Senza paura, nello stesso tempo, di cimentarsi nelle nuove tecnologie per parlare “faccia a faccia” con i nativi digitali, e di svolgere perfino un buon “servizio pubblico”, visto il notevole contributo offerto, attraverso una gamma molto variegata di attività, alla società civile.
È la “fotografia” dei 6 mila oratori italiani, scattata durante la conferenza stampa di presentazione della Nota Cei Il laboratorio dei talenti. Dei seimila oratori italiani, circa tremila si trovano in Lombardia. D’estate, al loro interno attività come il “Grest” (acronimo che sta per gruppo estivo) fanno registrare il tutto esaurito, accogliendo a giugno e luglio circa un milione e mezzo tra bambini e adolescenti. Oltre al Centro sportivo italiano, gli oratori italiani – la cui “colonna portante” sono gli operatori volontari – si avvolgono della collaborazione di associazioni come Anspi, “Noi associazione”, Foi. Senza contare l’Azione Cattolica, che promuove nelle parrocchie attività di animazione che si ispirano al modello dell’oratorio, e numerosissimi religiosi e religiose.
“Sinergia” tra Chiesa e società civile
Ammonta a circa 210 milioni di euro il contributo che gli oratori, «in termini di servizi e di opportunità», offrono alla “società civile”. A ricordarlo – citando il libro L’impegno di Giuseppe Rusconi – è stato monsignor Domenico Pompili, sottosegretario della Cei, introducendo la conferenza stampa di presentazione della Nota, elaborata dalla Commissione per la cultura e le comunicazioni sociali e dalla Commissione per la famiglia e la vita. «Sostenere» gli oratori per «ridare visibilità e sostenibilità ai nostri ambienti di periferia e di città», il suo invito: «Dietro la ripresa dell’interesse intorno agli oratori non c’è semplicemente un’emergenza. La sfida di sempre è quella di offrire un contesto che sia promettente per la relazione interpersonale, in una stagione a forte impatto digitale e quindi debilitata sotto il profilo della fisicità». L’oratorio, oggi, va oltre la «nostalgia di un’esperienza fatta di polverosi campi di calcio, teatro e musica, amicizie ed escursioni al mare o in montagna», legata all’adolescenza: può essere, invece, «un territorio fisico che insieme alla casa e al quartiere sia un luogo di radicamento, a partire dal quale proiettarsi in un mondo più ampio senza perdere il senso del legame, delle radici, della gratitudine e senza dissolvere l’identità coltivandola grazie alle nuove aperture tecnologiche».
L’oratorio «non è un’attività economica» e dunque «non risente direttamente della crisi», ma è pur vero che in questi tempi di crisi «la domanda delle famiglie è fortissima». Lo ha detto monsignor Claudio Giuliodori, presidente della Commissione Cei per la cultura e le comunicazioni sociali, rispondendo alle domande dei giornalisti. «C’è stata una stagione, negli anni Settanta, Ottanta e anche inizio Novanta – ha ricordato il vescovo – in cui lo sviluppo sociale ha fatto nascere tante attività, ma molto parcellizzate, costringendo i giovani a correre per portare i loro ragazzi a far sport, musica, a imparare le lingue. Tante proposte che sono competenze offerte ai ragazzi, ma quello che mancava era l’apporto di un’educazione integrale». Oggi, invece, «i genitori si sono accorti che i propri figli sanno fare tante cose, ma fanno fatica a vivere». Di qui il rilancio dell’attenzione all’oratorio, dove «ci sono attività strutturate, ma c’è soprattutto l’attenzione alla persona e alla sua libera espressività». Cresce, insomma, nelle famiglie «l’esigenza di uno spazio a misura di una crescita integrale dei ragazzi».
La “rete” e l’intercultura
Tra le “novità” della Nota Cei, monsignor Giuliodori ha citato l’attenzione al mondo digitale, come “ambiente” in cui i nostri ragazzi sono immersi e con il quale vanno educati a «interagire positivamente, senza esserne soggiogati, ma imparando a essere protagonisti della nuova cultura dei media», e l’approccio interculturale e interreligioso. «Il 10% dei ragazzi che frequentano i nostri oratori – ha detto il vescovo – sono immigrati, e in molti casi rappresentano la maggioranza della popolazione oratoriale». Un dato, questo, che «va tenuto presente» nella proposta dell’oratorio, che «non può perdere la sua identità, ma deve essere aperta a tutti nel rispetto delle diverse culture e sensibilità». Sulla necessità, per l’oratorio, di «farsi prossimo» ai ragazzi, «senza invasione di capo, ma nella certezza che rimanda alle competenze educative della Chiesa», si è soffermato monsignor Mario Lusek, direttore dell’Ufficio Cei per la pastorale del tempo libero, del turismo e dello sport. Della tendenza degli oratori a «diffondersi anche al Sud», magari con tipologie che si ispirano ad essi, ha parlato don Mimmo Beneventi, vice responsabile del Servizio Cei per la pastorale giovanile.
Tanto con poco
L’oratorio è «un luogo dove con poco si fa tanto», e nonostante la «contrazione» dei contributi in loro favore restano «un luogo libero di accoglienza e gratuità, dove i ragazzi possono andare senza spendere, dove trovano mamme e insegnanti disponibili, dove possono giocare in modo libero e non griffato, con quello che hanno addosso». È la descrizione dei 6mila oratori italiani, dove domina «tutto un mondo di volontari silenziosi», fatta da monsignor Enrico Solmi, presidente della Commissione Cei per la famiglia e la vita. Il loro punto di forza: «La relazione che nasce dai talenti che ognuno mette in campo», a partire da «un progetto molto preciso della comunità, che ha alle spalle una lunga tradizione e che va giocato per l’oggi». «Se l’oratorio funziona, ci vuole la rete, ma funziona anche se manca la rete», ha affermato il vescovo riferendosi sia alla rete del campo di calcio che alla “rete massmediale”, elemento da intercettare per stare al passo con i “nativi digitali”. In oratorio, è la tesi di monsignor Solmi, «le cose funzionano quando vediamo che con poco si fa tanto». Indispensabile, per il relatore, «l’alleanza educativa» con la famiglia: «Gli oratori sono i luoghi dove sono accolti i figli di tutti, anche quelli che hanno un disagio magari proprio in famiglia, e che nell’oratorio trovano un luogo per uscire da un clima pesante che li rimbalza da un genitore all’altro».