Un viaggio alla periferia del mondo, quella che arriva sulle prime pagine condivise dal cosiddetto “villaggio globale”, solo quando accade qualche tragedia. È Haiti, angolo dei Caraibi benedetto da Dio per la sua splendida natura e maledetto dalla miseria dei suoi abitanti, l’isola dove, comunque, c’è un poco di Chiesa ambrosiana, con i tre sacerdoti “fidei donum” – don Giuseppe Noli, don Mauro Brescianini e don Giuseppe Grassini – che vivono in due parrocchie nella Diocesi di Port De Paix, nella zona Nord-ovest del Paese. Comunità visitata, per dieci giorni sotto Natale, da una piccola delegazione della Diocesi di Milano guidata dal Vicario generale, monsignor Mario Delpini, che dice subito: «L’accoglienza è stata molto generosa, ma non posso dimenticare l’estrema e complessiva povertà della popolazione che mi ha davvero impressionato».
Come si annuncia il Vangelo tra tanta miseria e desolazione?
«Come ovunque, con la speranza che viene dalla certezza di un Signore vicino e che non abbandona mai, con il radunare il popolo di Dio, con la preghiera e con l’educazione. Infatti, una delle caratteristiche dell’area che abbiamo percorso è, appunto, la presenza delle scuole, magari in edifici precari, con pochi libri di testo, ma frequentate da moltissimi piccoli alunni. Una realtà che la presenza dei missionari – anche protestanti – cerca di rendere ancora più capillare e fruibile da tutti».
La gente haitiana è aperta alla fede e all’azione missionaria?
«Mi pare che si possa dire che vi sono luci e ombre. Come è noto Haiti è stata colonia francese e, quindi, l’adesione al cattolicesimo è stata fino a pochi anni fa, pressoché totale, con il cento per cento di battezzati: oggi la componente cattolica si è quasi dimezzata, anche per l’arrivo di altre confessioni cristiane, ma soprattutto di sette e di forme molto particolari di culto. Esiste sempre una religiosità molto sentita a livello popolare, ma si nota anche una certa confusione, che necessita di un annuncio chiaro del Vangelo. Quello che appunto, portano, con la vita della parrocchia, i missionari».
In questo contesto più generale, cosa “porta”, invece, la nostra Chiesa particolare? Si sente un’impronta di ambrosianità?
«Nei giorni trascorsi con i nostri sacerdoti “fidei donum” ho avuto proprio la sensazione di un microcosmo concentrato delle qualità tipiche del clero ambrosiano. C’è l’operosità, l’attenzione alle persone condivisa dalle tre suore che aiutano nella missione, un senso di responsabilità molto vivo, a cui si aggiunge la disponibilità di mezzi che permette di agire concretamente sul tessuto sociale nel quale si trovano, magari, come io stesso ho potuto vedere, costruendo chiese e luoghi di educazione, ristrutturando edifici e scuole già esistenti. Fondamentale è anche lo sviluppo della canalizzazione – una sorta di piccoli acquedotti locali – che rende possibile, oltre l’incremento delle coltivazioni, la diffusione di acqua pulita, non pericolosa per la salute specie dei bambini. Sicuramente c’è ancora tanto da fare: mi ha colpito, ad esempio, che in entrambe le parrocchie gestite dai nostri sacerdoti siano munite di un sistema che genera energia elettrica attraverso pannelli solari, diventando così anche luoghi dove gli abitanti locali possono ricaricare piccoli elettrodomestici e qualche telefono cellulare che, per molti di loro, è un oggetto non superfluo, ma di sopravvivenza. Anche nelle piccole e piccolissime cose della vita quotidiana si può dare uno spiraglio di luce e di fiducia in un domani migliore. Credo che l’incontro con Cristo attraverso la vicinanza dei nostri missionari ai più poveri e abbandonati sia fonte di un grande futuro anche per Paesi come Haiti».
Insomma, preti ambrosiani con il Vangelo in una mano e, quando occorre, i mattoni nell’altra.