Papa Francesco e Patriarca Bartolomeo, mano nella mano a Gerusalemme, nel cuore della cristianità, in una regione bagnata dal sangue, segnata dai conflitti. Il loro abbraccio più volte ripetuto ieri nella Chiesa del Santo Sepolcro è il segno che i capi delle due Chiese cristiane scommettono sulla riconciliazione, anche se la strada dell’unità è lunga e difficile, anche se gli ostacoli rendono il traguardo della pace sempre più lontano. Si sono dati appuntamento qui a Gerusalemme per ripetere con la stessa forza visionaria e lo stesso coraggio il gesto di riconciliazione che fecero 50 anni fa, i loro due predecessori, Paolo VI e Athenagoras. Da secoli il mondo cristiano viveva nella notte della separazione. Quell’incontro segnò in modo profetico l’alba di un’era nuova, luminosa, benedetta.
Una Dichiarazione congiunta
Il Pontefice e il Patriarca arrivano sulla piazza antistante la chiesa del Santo Sepolcro con un’ora di ritardo. Si sono trattenuti più a lungo nella sede della delegazione apostolica dove è alloggiato Papa Francesco. Il programma della giornata subisce così un primo e inaspettato slittamento ma l’incontro tra le due delegazioni – spiega padre Federico Lombardi ai giornalisti – è «bello e amichevole». È qui nella stessa stanza dove avvenne lo storico abbraccio tra Paolo VI e Athenagoras che Francesco e Bartolomeo hanno firmato una dichiarazione congiunta. Un testo ricco, «molto lungo – fa sapere il cardinale Kurt Koch, presidente del Pontificio Consiglio per l’unità dei cristiani – che affronta i molti problemi del nostro tempo, nell’impegno di dare una testimonianza comune nel mondo, ortodossi e cattolici insieme». Il testo è scritto in diverse lingue.
La pace in Medio Oriente
Sta dunque ormai calando la sera quanto Bartolomeo e Francesco arrivano al Santo Sepolcro. Il loro abbraccio è accompagnato dal suono di campane dispiegate a festa e da un fragoroso applauso. Poi, mano nella mano, raggiungono la pietra dove fu deposto il corpo di Gesù e s’inginocchiano in silenzio e preghiera. Tutto tace in questa chiesa dove s’intrecciano ortodossi, cattolici, armeni e copti in un variegato mosaico di tradizioni, simboli e liturgie. Fuori, il fuoco della guerra brucia: i racconti dei profughi iracheni e siriani s’incrociano con le storie di persecuzione vissute dai cristiani arabi nella striscia di Gaza. La pace qui ha un valore altissimo perché è pagato ogni giorno con la fatica e troppo spesso con il sangue degli innocenti. «Siamo qui – dice il Patriarca Teofilo III, del Patriarcato ortodosso di Gerusalemme – non solo per l’unità delle nostre Chiese ma per la pace nel mondo, per la pace di questa Regione che ne ha un disperato bisogno, per i nostri fratelli e sorelle della Siria».
L’ecumenismo del sangue
Quando Papa Francesco prende la parola, anche lui ha in cuore «l’ecumenismo della sofferenza, l’ecumenismo del sangue». Ha evidentemente ancora negli occhi i profughi incontrati in Giordania, il Muro che separa la Palestina da Israele, la prigione in cui vivono i cristiani di Gaza. «Quelli che per odio della fede uccidono i cristiani – dice – non domandano se sono ortodossi o cattolici. Sono cristiani e il sangue cristiano è lo stesso». Di fronte a sfide così importanti, l’unità dei cristiani non è una scelta opzionale ma una urgenza per il mondo. «Le divergenze non devono spaventarci e paralizzare il nostro cammino, dobbiamo credere – incalza il Papa – che, come è stata ribaltata la pietra del sepolcro, così potranno essere rimossi tutti gli ostacoli che ancora impediscono la piena comunione tra noi». È a questo punto che Papa Francesco rilancia una questione cruciale per il dialogo cattolico e ortodosso su cui i teologi si sono da tempo impantanati: il ruolo del ministero petrino. «Desidero – ha detto rivolgendosi al mondo ortodosso presente a Gerusalemme – rinnovare l’auspicio già espresso dai miei Predecessori, di mantenere un dialogo con tutti i fratelli in Cristo per trovare una forma di esercizio del ministero proprio del Vescovo di Roma che, in conformità con la sua missione, si apra ad una situazione nuova e possa essere, nel contesto attuale, un servizio di amore e di comunione riconosciuto da tutti».
Il sogno di Paolo VI e Athenagoras
Cala ancora il silenzio nella gremita chiesa di Gerusalemme quando il Patriarca e il Papa entrano insieme nel Santo Sepolcro e si fermano in preghiera. Tutto ieri è stato condiviso: la lettura della parola, i canti liturgici in lingua latina e greca, la meditazione. Ma il sogno di Paolo VI e Athenagoras era la condivisione eucaristica, la piena comunione delle due Chiese. “Questo – ha detto ieri il Patriarca Bartolomeo – è il cammino che tutti i cristiani sono chiamati a seguire nelle loro relazioni reciproche – a qualsiasi Chiesa o confessione appartengano – con ciò fornendo un esempio per il mondo intero. La strada può essere lunga e faticosa; davvero a qualcuno può alle volte apparire un impasse. Comunque è l’unica via che porta all’adempimento della volontà del Signore che tutti siano una sola cosa”.