La jeep bianca che si ferma, il Papa che scende, percorre pochi passi, fino al muro di separazione israeliano. Lo tocca, vi poggia il capo, in silenzio; l’invito rivolto al presidente Abu Mazen, palestinese, e a quello israeliano, Shimon Peres, a pregare insieme per la pace nella sua casa in Vaticano. Due gesti più eloquenti di tante parole, due dei fotogrammi più significativi del pellegrinaggio di Papa Francesco in Terra Santa (Amman, Betlemme e Gerusalemme) voluto per ricordare il 50° anniversario dello storico abbraccio, nella città santa, tra Paolo VI e il patriarca Athenagora. Un viaggio dalla grande valenza ecumenica, come rimarcato dallo stesso Francesco al momento di annunciarlo, ma che non poteva non avere inevitabili risvolti politici.
Coraggio della pace e creatività a servizio del bene
Dalla Terra che ha dato i natali a Gesù, «principe della Pace», il Pontefice scelto dai cardinali «quasi alla fine del mondo», ha invocato, sin dal suo arrivo in Giordania, il 24 maggio, «una soluzione pacifica alla crisi siriana, nonché una giusta soluzione al conflitto israeliano-palestinese». Non sfuggono al Papa le sofferenze provocate dai conflitti ancora aperti in Medio Oriente, i milioni di profughi e rifugiati, i drammi delle vittime, senza distinzione di fede religiosa, appartenenza etnica o ideologica.
La pretesa di lasciare alle armi la soluzione dei problemi deve fare spazio alla via del negoziato. «La soluzione, infatti, – ha ripetuto più volte Bergoglio – può venire unicamente dal dialogo e dalla moderazione, dalla compassione per chi soffre, dalla ricerca di una soluzione politica e dal senso di responsabilità verso i fratelli». Da Betlemme è arrivato il grido: «È giunto il momento per tutti di avere il coraggio della generosità e della creatività al servizio del bene, il coraggio della pace, che poggia sul riconoscimento da parte di tutti del diritto di due Stati a esistere e a godere di pace e sicurezza entro confini internazionalmente riconosciuti». Per tutti.
E lui non si è sottratto, anzi per primo ha dato il buon esempio, a partire dai gesti come quello silenzioso e pacifico di raccogliersi davanti al Muro di separazione israeliano o quello coraggioso di usare un elicottero da Amman a Betlemme, senza passare dalla frontiera israeliana. Che equivale a riconoscere alla Palestina la dignità di uno Stato indipendente, nonostante l’occupazione israeliana che ha in quel Muro l’immagine più nitida.
«Pace non rimanga un sogno»
Bergoglio ha parlato di pace e coraggio anche al suo arrivo in Israele. Davanti al presidente Peres e al premier Netanyahu è risuonata la supplica a «quanti sono investiti di responsabilità a non lasciare nulla di intentato per la ricerca di soluzioni eque alle complesse difficoltà, così che Israeliani e Palestinesi possano vivere in pace. Bisogna intraprendere sempre con coraggio e senza stancarsi la via del dialogo, della riconciliazione e della pace. Non ce n’è un’altra».
Seguita dall’appello che fu anche di Benedetto XVI: «Sia universalmente riconosciuto che lo Stato d’Israele ha il diritto di esistere e di godere pace e sicurezza entro confini internazionalmente riconosciuti. Sia ugualmente riconosciuto che il popolo palestinese ha il diritto a una patria sovrana, a vivere con dignità e a viaggiare liberamente. La “soluzione di due Stati” diventi realtà e non rimanga un sogno».
Proprio per cullare questo sogno, per incoraggiare e ravvivare il processo di pace e dare ispirazione e nuovo coraggio alle persone coinvolte in questo processo, papa Francesco ha voluto invitare il presidente palestinese Abu Mazen e quello israeliano Shimon Peres a pregare tutti insieme «nella mia casa» in Vaticano. La preghiera come stimolo alla promozione della pace e non un’occasione di incontro per presentare un’agenda politica, non proposte diplomatiche da offrire ma una missione prettamente spirituale da compiere. Come per la Siria, quando volle proclamare per il 7 settembre 2013 una giornata di digiuno e di raccoglimento, Bergoglio propone ai popoli palestinese e israeliano e alle rispettive Autorità la preghiera come strada privilegiata per intraprendere un «felice esodo verso la pace». Un cammino in cui ognuno è chiamato a rinunciare a qualche cosa.
Sono particolarmente significative allora le parole di saluto che il presidente Peres ha rivolto al Papa nella visita di cortesia al palazzo presidenziale, dove i due hanno anche piantato un ulivo: «È venuto in pellegrinaggio ed ha tracciato una strada”. Quella dell’esodo felice verso la pace.