«Torno nella vostra comunità e in questa bella chiesa con gioia e commozione per celebrare l’azione eucaristica domenicale»: dice così il cardinale Scola che arriva a Muggiò, entrando nella parrocchia dei Santi Pietro e Paolo gremita fino al sagrato. Per l’Arcivescovo – che a Muggiò era già stato da vescovo di Grosseto per amministrare la Cresima – questa è una tappa segnata da legami di lunga conoscenza con i sacerdoti, a loro volta legati a Malgrate, che qui hanno svolto il loro ministero. Ma soprattutto il Cardinale sottolinea con la sua presenza la fine delle “Quarantore” che le tre parrocchie riunite nella Comunità pastorale “Madonna del Castagno” (ma molti sono giunti anche da Taccona) hanno celebrato durante la settimana con il titolo “L’Eucaristia nella Comunità e nella famiglia quale Chiesa domestica”. Una pratica un tempo assai diffusa nelle nostre terre ambrosiane, e risalente a San Carlo Borromeo, che così voleva che le parrocchie onorassero il Signore, come per “stemperare” gli eccessi del Carnevale. A Muggiò la tradizione è ancor oggi seguitissima e si ripete nel periodo immediatamente precedente la Quaresima.
«L’Eucaristia è l’azione più potente e importante che l’uomo possa compiere, atto più alto della libertà umana. In un’occasione straordinaria come questa possiamo avere un soprassalto di coscienza per prendere cognizione piena del dono che ci è fatto di essere qui con il Signore. Cosa che ci permette di superare ogni limite di fragilità umana e di peccato che, purtroppo, ci costituiscono», spiega subito il Cardinale, che prosegue commentando la pagina evangelica di Luca.
«La menzogna più grande, che è la pretesa di salvarsi da soli, porta con sé una conseguenza inevitabile: “Chi si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato”. Tante volte nel nostro modo di parlare e agire siamo come il fariseo: l’altro deve essere uno specchio per il mio orgoglio. Questo, nella società e anche in famiglia, crea spesso estraneità. È per questo che il Papa, nel Messaggio per la Quaresima, ci invita a stimolarci a vicenda nella carità e nelle opere buone».
Da qui quella che Scola chiama la «questione centrale»: «Nella coscienza del nostro limite e del dono inestimabile della salvezza, risiede la ragione per la quale non è mai giusto condannare gli altri». Ma ciò, lungi dall’essere una superficiale riduzione della fede a puro sentimentalismo, è ben altro: come indica San Paolo, «è comprendere, nel profondo, il vero amore di Dio per ognuno di noi». Amore sperimentabile attraverso l’Eucaristia: «Occorre allora – nota il Cardinale, citando Giovanni Paolo II nella Lettera ai sacerdoti del Giovedì santo 2004 – che tutta la vita assuma una forma eucaristica. Quello del cristiano è, infatti, uno stile eucaristico, legato strutturalmente al dono di sé che inizia nella vita della Chiesa nella quale fin da ragazzi impariamo il senso della vita come dono». Insegnamento, questo, da portare in ogni ambito dell’esistenza, dalla famiglia al lavoro e all’impegno sociale per il bene comune. E qui arriva anche il richiamo all’oggi delle zone e dei paesi che sono alle porte della Grande Milano. Esiste una grande responsabilità – Scola lo dice con estrema chiarezza – in questa logica di vita autentica «per le città di fascia perché il Paese rinascerà dalla provincia molto di più che dalla metropoli».
Al termine dell’omelia, rivolgendosi agli oltre 200 i ragazzi della Cresima ai bordi dell’altare con i loro catechisti ed educatori e ai tanti giovani sparsi tra i fedeli, prosegue: «C’è una precisa controprova che la vita ci è data per essere donata, perché se uno si chiude in se stesso, si immiserisce, non comunica, non dà, non fiorisce. Tanto che, se non doni la tua vita, qualcuno te la “ruba” ed è il tempo che passa». E, ancora, a termine della Messa, dopo l’adorazione e la benedizione eucaristica con il Santissimo, preso tra le mani in un prezioso ostensorio come è d’uso alla fine delle Quarantore, l’Arcivescovo torna a rivolgersi direttamente ai ragazzi, invitandoli a interrogarsi, appunto nella logica del dono di sé, sulla vocazione a darsi totalmente al Signore nella consacrazione al sacerdozio o alla vita religiosa. «Non abbiate timore a parlarne: io questa vocazione l’ho sentita, racconta, in quarta elementare».
Poi, il saluto caldissimo della gente di Muggiò, con i cresimandi che quasi “assediano” l’Arcivescovo ai piedi dell’altare maggiore e la visita alla mostra fotografica che ricorda don Luigi Bonanomi, scomparso prematuramente nel 1982 e che in parrocchia aveva dato vita a un gruppo di Comunione e Liberazione.