Pubblichiamo uno stralcio del libro di Luisa Bove «Giulia e il Lupo», edito da Àncora, che racconta la storia di un’adolescente vittima di abusi sessuali da parte di un prete.
Mia compagna di viaggio era diventata anche la paura. Non mi abbandonava facilmente, la percepivo come fosse una colonna sonora costante nella mia vita. Avevo paura di tutto: di me stessa, delle mie reazioni, dei miei sentimenti… Non mi sentivo a mio agio, temevo attacchi esterni (chissà da chi), mi sentivo fragile e vulnerabile. Mi sentivo sola e al tempo stesso avevo voglia di isolarmi ancora di più. Mi sentivo diversa dagli altri. Avrei voluto sparire per un po’ di tempo e tornare solo quando sarei stata più presentabile, meno sporca… magari riscattata! Volevo riemergere, ma non sapevo da dove iniziare. Mi sentivo espropriata anche della mia identità, facevo fatica a definirmi. Dicevo a Martina: «Posso dirti cosa faccio, ma non chi sono». Non mi ero mai sentita così indefinita, forse quando ero adolescente. Trovarmi donna ormai matura e improvvisamente non sapermi più dire era una sensazione strana. E mi chiedevo: «Perché non so più chi sono? Come posso ritrovare me stessa? Cosa devo fare?».
Domande e riflessioni mi rimbalzavano tra la testa e il cuore. Mi rendo conto oggi di non essere mai riuscita, negli anni dell’abuso e anche dopo, a dare il nome vero a quanto mi stava capitando, lo consideravo al massimo un rapporto malsano: provavo un disagio generale e allo stesso tempo mi illudevo di essere felice, c’era una grande confusione in me e non c’era nessuno al quale appellarmi. Il Lupo tradiva la sua vocazione e io tradivo anzitutto me stessa. Nessuno poteva esserci arbitro, se non Dio solo. E le nostre coscienze dov’erano? La mia era senz’altro confusa, la sua non so, forse l’aveva messa a tacere.
Oggi più che mai ho bisogno di capire cosa è successo e quanto, questa assurda avventura, anzi, questo abuso, abbia scavato solchi profondi dentro di me, come fiumi carsici sotterranei pronti a esondare. Come ho potuto vivere così a lungo senza rendermi conto della gravità e convivere con tanto dolore sotto traccia? Riconosco solo ora che nella mia vita gli abusi sono stati tanti e diversi e forse non sono ancora finiti: hanno assunto volti, luoghi e modalità differenti, ma nella sostanza mi schiacciano, mi annullano, mi umiliano… con la differenza che ora mi accorgo, mi rendo conto delle ingiustizie che subisco, delle subdole violenze o prese di potere nei miei confronti. La rabbia sale dentro di me, mentre all’esterno resto impotente. Una rabbia che non riesco a dominare, che mi annebbia la mente, che si mangia il mio cuore e che blocca il mio corpo. A volte mi sembra di lottare contro i mulini a vento.
Comprendo ora che non ho mai imparato a difendermi di fronte a chi, con il potere, si appropria della mia vita e la manipola a suo vantaggio. Ancora oggi, tutte le volte che qualcuno si intromette nella mia vita o nel mio lavoro con prepotenza (o almeno è così che lo percepisco), reagisco, perché è come essere abusata un’altra volta. Sento la violenza sul mio corpo, nella mia carne e nell’intimo lancio un grido di dolore che nessuno può sentire. Vorrei allontanare da me tutti coloro che mi sono di ostacolo, sottrarmi alla violenza che inconsapevolmente mi fanno, vorrei isolarmi e riemerge al mondo solo quando sarò «guarita», quando le «ferite» non sanguineranno più. Ma ci sarà mai questo giorno? Lo spero tanto, ma non riesco a crederci finché non arriverà davvero. Cerco parole rassicuranti in Martina e mi aggrappo a quella speranza.
Intanto continuo a camminare, a piccoli, piccolissimi passi, mentre vorrei correre verso la meta, ma il mio corpo non risponde, è lento e impacciato. Anche il mio spirito non vola alto. E devo accettare ogni fatica e ogni rallentamento. Come non lasciarmi distruggere e annullare? Come difendere la mia dignità, la mia identità? Oggi, più di ieri, ho bisogno di sentirmi amata. In modo autentico, vero. Senza più manipolazioni, plagi, strumentalizzazioni. Così come sono e per quello che sono. Con queste mie debolezze, ma anche con questa mia forza, solo oggi sto dialogando con umiltà e verità per poterle esprimere entrambe. (…) E mentre racconto so e «sento» di non essere ancora fuori dal guado, dal tunnel, dalla tomba… le ferite fisiche, affettive, psicologiche e spirituali non sono ancora del tutto rimarginate, hanno bisogno di altre cure e non so neppure se «guariranno» mai completamente.
Tuttavia sono grata a Dio e a Martina, per il cammino fatto fino ad oggi. Spero di riuscire a compiere altri passi sulla via del riscatto. Ma chiunque avrà avuto il coraggio di leggere questo libro e di arrivare fin qui, potrà dire di aver contribuito al risarcimento morale. Perché ora sa che queste cose esistono. Io ne sono testimone, anzi vittima. E chi deciderà di non archiviare questo tema, di non tacere, di indignarsi di fronte agli abusi e di fare ciò che la coscienza gli suggerirà perché non succedano più, allora avrà contribuito, non solo al mio, ma al riscatto di tante altre donne che come me hanno subito abusi e violenze nell’ambito della Chiesa. Una Chiesa che io non ho mai smesso di amare. Perché ho sempre creduto in Dio e confidato nel Signore.