«La giustizia celeste dirà la sua parola al momento opportuno». Così ha commentato Tawadros II, Papa della Chiesa copta ortodossa, in merito agli ultimi sanguinosi eventi che hanno scosso l’Egitto.
E per la prima volta, in un’intervista alla televisione ONtv ha denunciato la negligenza colpevole del presidente: «Vogliamo fatti, non solo parole. Il presidente Morsi ha promesso di fare qualsiasi cosa per proteggere la cattedrale, ma in realtà ciò non è mai avvenuto». Alla proposta del governo di promuovere una commissione per affrontare la questione, il Papa ha risposto «Di gruppi, commissioni ne abbiamo abbastanza. Abbiamo bisogno di azioni, non di parole».
Tutto è cominciato venerdì scorso nella località di al-Khusus, a nord del Cairo, con alcuni graffiti tracciati sui muri della sede di un istituto affiliato ad al-Azhar. Ben presto la violenza ha assunto una natura settaria, lasciando sul terreno cinque morti, un musulmano e quattro copti.
Ma il fatto più grave dal punto di vista simbolico è avvenuto durante il funerale dei copti, la domenica successiva, quando ad essere attaccata è stata la cattedrale di San Marco ad Abbasiyya, quartiere semicentrale del Cairo. Nonostante gli appelli alla calma e la promessa da parte del presidente Morsi di misure di sicurezza straordinarie, i fedeli riuniti per il funerale sono stati presi di mira con lanci di pietre e due persone sono rimaste uccise. Un’azione gravissima, perché portata contro un luogo di preghiera che è anche la residenza del Papa di Alessandria.
Le dichiarazioni delle autorità hanno ripetuto il consueto ritornello, che si compone di tre elementi. Prima di tutto, si tratta di un complotto. Quella della congiura infatti è oggi la categoria che molti egiziani preferiscono per leggere i fatti: qualsiasi avvenimento, per definizione, non è mai quello che sembra, e responsabile ne è sempre la parte avversa. Vale la pena allora ricordare che anche nell’attentato della Chiesa dei Due Santi nel Capodanno copto del 2011 furono invocate «mani straniere», che poi si rivelarono essere, più prosaicamente, agenti provocatori dell’allora ministro degli interni. Secondo elemento: la violenza non riuscirà a scuotere l’unità nazionale. È vero, tanti in Egitto sono di questo avviso. Ed wahda, “una mano sola”, è stato uno degli slogan della rivoluzione e continua ad essere ripetuto. Ma l’unità nazionale presuppone il principio di cittadinanza e non una Costituzione che sembra fatta apposta per dividere. Terzo elemento: è inaccettabile l’attacco ai luoghi di culto. Sì, senza dubbio. Ecco perché diventa ancora più urgente rispondere a una domanda molto semplice: dov’erano le forze di sicurezza in tutta questa vicenda?
In questi ultimi mesi (si pensi agli scontri di Port Said) è apparso più volte evidente che, se la responsabilità più grande ricade su chi è al Governo e comanda sulle forze dell’ordine, né gli islamisti né i liberali hanno il controllo reale della situazione, per altro già profondamente segnata da una crisi economica gravissima, con continui tagli dell’elettricità, mancanza di beni di prima necessità e scioperi che paralizzano il Paese.
Anche se non mancano segni di collaborazione tra musulmani e cristiani, come la manifestazione organizzata insieme il giorno dopo l’attacco alla cattedrale sta a dimostrare, la violenza settaria si va mostrando sempre più esplosiva e pericolosa.