«Prima di tutto, siate i benvenuti!»: lo sguardo accogliente e l’energia di Papa Tawadros II investono immediatamente gli ospiti stranieri che, nell’accostarlo, non possono restare indifferenti. La sua ospitalità generosa e la stima manifestata sia verso Benedetto XVI, per le sue prese di posizione a favore dei cristiani in Medio Oriente, sia verso il suo successore Francesco, permettono una conversazione a tutto campo. Un’intervista che si allarga ad abbracciare le questioni dell’attualità politica e le ferite che da generazioni segnano la convivenza tra cristiani nel Medio Oriente. Senza reticenze.
Sa essere mite e deciso allo stesso tempo, come quando si rivolse al presidente Morsi, dopo l’attacco alla cattedrale di San Marco dello scorso aprile, denunciandone la negligenza e l’incapacità di tutelare i copti dalle violenze che si ripetono nei loro confronti e restano impunite.
Tawadros II riceve Oasis nella sua residenza, il monastero di Anba Bishoi a un centinaio di chilometri a Nord del Cairo, tra semplici pellegrini e autorità di varia provenienza in attesa dell’udienza ufficiale.
Lei è il 118° successore di San Marco sulla cattedra di Alessandria. Se dovesse descrivere i tratti più tipici della Chiesa copta, come li riassumerebbe?
La Chiesa copta è considerata una delle più antiche del mondo. È una Chiesa cristiana egiziana e tradizionale fondata su tre elementi che potremmo chiamare «le piramidi della storia ecclesiale copta». La prima piramide è l’insegnamento teologico rappresentato da alcuni campioni di santità, come Sant’Atanasio l’Apostolico e San Cirillo Pilastro della Fede. Nella storia recente l’esponente più noto è Papa Shenouda. La seconda piramide è la testimonianza, perché la Chiesa ha generato martiri – è una lunga storia in Egitto – e ne genera ancor oggi. I più famosi sono San Mina e San Damiano. La terza piramide infine è la vita eremitica e ascetica. La nostra Chiesa ha dato i natali a numerosi monaci ed eremiti, tra i quali Sant’Antonio [del Deserto]. Queste tre piramidi costituiscono la storia viva della Chiesa, che è cominciata in Egitto, ma che si è diffusa in tutto il mondo, al punto che oggi ci sono chiese copte in più di 67 Paesi.
E per quanto riguarda le priorità pastorali?
In cima sta la cura dei cristiani copti, in modo particolare di coloro che vivono nelle regioni isolate dell’Egitto, nei villaggi, nelle zone desertiche o negli insediamenti informali. A questa si affianca la cura dei bambini: l’attenzione all’infanzia ci sta spingendo a pensare di affidare a un Vescovo in modo speciale la pastorale dei bambini e dei ragazzi fino ai 15 anni di età. Per i giovani dai 15 ai 25 anni c’è un altro incaricato, Anba Mûsà. E per la fascia di età che va dai 25 anni in su vorremmo delegare un Vescovo proprio alla cura della famiglia cristiana. Inoltre c’è una sollecitudine per la crescita umana integrale. A questo scopo cominceremo a tenere dei congressi di studio su cinque argomenti principali: monachesimo, seminari, diritto di famiglia, beni mobili e immobili (gli awqâf) e progetti ecclesiali generali di tutte le eparchie per la crescita economica.
In varie occasioni Lei ha fatto visita ai fratelli delle altre Chiese, un gesto apprezzato da molti, come una brezza di primavera per le Chiese dell’Egitto. Come guarda alla questione ecumenica?
Vorrei parlare in modo specifico del Medio Oriente. Siamo circa 300 milioni di persone, delle quali solo il 5% è cristiano, secondo una stima approssimativa. Perciò la nostra voce cristiana dev’essere una sola. Questa voce unica la esprimiamo attraverso due ambiti importanti. Il primo è costituito dagli incontri della carità con i Patriarchi e i Vescovi di tutte le Chiese cristiane. Uno dei momenti più felici per me è stato quando sono andato a visitare la Chiesa cattolica in Egitto e il Patriarca Antonios Naguib nella sua malattia. Ma ho incontrato anche il Patriarca dei greco-cattolici Gregorios III Lahham e il Patriarca Teodoro II dei greci ortodossi. Proprio oggi ho potuto parlare al telefono con il Patriarca Beshara Rai in Libano e Mons. Sayyah è venuto a trovarci qui. Sono rapporti di carità che nella Bibbia sono chiamati “la virtù dell’amore fraterno”. Quest’aspetto mi interpella personalmente. Il secondo ambito è costituito dalle attività comuni tra i giovani, i bambini e le famiglie, attività che ruotano tutte intorno all’amore, mentre ci teniamo un po’ lontani da tutto quello che ha a che vedere con il dogma e che potrebbe causare un certo contrasto. Io credo nella diversità nell’unità. Se entro in un giardino in cui i fiori sono tutti rossi e della stessa altezza, è una noia. Invece se trovo una rosa rossa, un’altra gialla e una terza bianca e vedo alberi di diversa altezza, questa diversità esprime bellezza e anche forza. Mentre sto seduto con voi, sono ricco dei miei fratelli in Cristo.
Questa tensione all’incontro può condurre anche a riconsiderare alcuni aspetti problematici della relazione tra cattolici e copti ortodossi? Un elemento doloroso per i cattolici, per esempio, è il fatto che il loro battesimo non sia ritenuto valido dagli ortodossi e che quindi vada ripetuto in caso di un matrimonio misto…
La Chiesa cattolica è una chiesa sacramentale e una chiesa tradizionale, che crede nella presenza dello Spirito Santo nei Sacramenti. È una chiesa apostolica. Abbiamo il massimo rispetto per questo. Ma ci sono alcune difficoltà nella comprensione reciproca e nella terminologia e c’è bisogno di un dialogo teologico tra esperti. Per quanto riguarda il sacramento del Battesimo, ciascuno ha il suo modo di amministrarlo. Il Battesimo assume due forme: per immersione o per aspersione. Nella Chiesa copta il Battesimo avviene per immersione. Da qui sorgono una serie di differenze. Ma possiamo valorizzare ogni situazione, secondo le condizioni della persona.
Perciò il problema è nel modo del Battesimo, non nella sua sostanza…
Sì.
Ma le Chiese cattoliche orientali praticano il Battesimo per immersione, ad esempio i greci cattolici e anche i copti cattolici procedono in questo modo per battezzare i bambini.
Quando le cose stanno così, ci basta il Sacramento della Confermazione (mayrûn).
Come vede il tema del rapporto fra la fede e la vita? Come si dovrebbe riconoscere una persona che vive in modo autentico un’esperienza di fede? Come la fede si traduce nella vita di tutti i giorni, nel lavoro, nella famiglia?
Nel Vangelo di Luca troviamo al capitolo 10, versetto 27: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente, e il tuo prossimo come te stesso». Il primo segno di riconoscimento del credente è perciò l’amore per il prossimo, senza distinzione. Secondo viene il rapporto spirituale con Dio che si costruisce fondamentalmente attraverso il Vangelo e la preghiera quotidiana. Come ogni giorno accende la televisione, il credente apre anche il Vangelo. Questo è il rapporto quotidiano con Dio. Terzo, ha un rapporto con la Chiesa, si accosta ai Sacramenti, nella Chiesa ortodossa e cattolica naturalmente. E i Sacramenti più importanti sono la Confessione e la Comunione. Quarto, è capace di servire gli altri nella società. Anche questo avviene giorno per giorno. Quinto, è testimone di Cristo, con le opere prima che con le parole. Questi cinque segni tratteggiano la figura dell’uomo che ha un rapporto vero con Cristo, nella fede e nella vita.
L’Egitto sta attraversando una fase di transizione. Come descriverebbe gli ultimi due anni? E come guarda al dibattito pubblico che si sta svolgendo intorno alla Costituzione e alla scelta tra uno Stato civico e uno Stato religioso?
La rivoluzione ha due anni. È baby, è molto giovane. È un fatto positivo perché significa cambiamento. La rivoluzione egiziana è cominciata come una rivoluzione giovanile, popolare e pura. Ma poi ha cambiato natura ed è stata scippata da altri orientamenti religiosi, che non sembrano addirsi alla società egiziana nel suo complesso. Attualmente ci troviamo in una fase di discussione. La personalità egiziana si compone di diversi strati. C’è lo strato faraonico, quello cristiano e quello islamico. Inoltre siamo influenzati dall’Africa, dalla lingua araba, dalla nostra posizione sul Mediterraneo. Questo dà alla personalità egiziana un carattere moderato. Perciò ogni estremismo, di qualsiasi forma, religiosa, politica o sociale, non è accettabile per la natura stessa della personalità egiziana. È la nostra terra a dircelo. Il Nilo scorre nel mezzo. Ogni estremismo, di sinistra o di destra, non riesce a sopravvivere. Resta per un po’, ma poi se ne va.
È fiducioso anche per il prossimo futuro?
Sì, stiamo attraversando una fase transitoria che ha portato all’instabilità. Ma fra alcuni mesi o anni, tornerà la stabilità e l’Egitto ripartirà. Voglio farle un esempio. Le piace il calcio? Se vuole fare un bel tiro, deve prendere un po’ di rincorsa: retrocedere per ripartire. Questa è la condizione dell’Egitto adesso. C’è una debolezza nell’economia, nella sicurezza, nella pace sociale. È come un retrocedere, ma da lì ripartiremo di nuovo. L’importante è che la rivoluzione sia un rinnovamento di tutta la società e non soltanto di una parte di essa. Il Vangelo dice che è inutile mettere un pezzo di stoffa nuova su un vestito vecchio. In alcune rivoluzioni non vediamo questo tratto di universalità.
Lo studioso egiziano Tewfik Aclimandos ritiene che siano tre le fonti potenziali di tensioni tra cristiani e musulmani in Egitto: i luoghi di culto, la legge dello statuto personale, in particolare il matrimonio misto tra cristiani e musulmani, che nel caso in cui lo sposo sia cristiano richiede la previa conversione all’Islam e infine la libertà religiosa, che comprende anche la libertà di conversione. Lei concorda?
Sono in gran parte d’accordo, ma aggiungerei qualche altro aspetto. Per quanto riguarda la costruzione delle chiese, la nostra protesta riguarda la lunghezza dei procedimenti: ci possono volere vent’anni per ottenere una licenza edilizia. Ma in vent’anni tutta la società cambia, muta la geografia demografica. Là dove prima c’era bisogno di una chiesa, vent’anni dopo ne potrebbero servire tre. Non vedo alcun affronto nei confronti degli altri egiziani. Di chiese ce ne sono già circa 1000; se diventano 1001 o 1002, dov’è il problema? Attualmente lo Stato sta lavorando a una legge che risolva il problema della costruzione delle chiese.
Sul diritto di famiglia, abbiamo presentato più di trent’anni fa una proposta di legge che darebbe un trattamento unico a tutti i cristiani egiziani. Ma anche se finora questo progetto non ha mai assunto valore giuridico, non ci arrendiamo.
Quanto al terzo punto, siamo in difficoltà anche nell’elezione di parlamentari cristiani, perché nel Paese non c’è alcuna regione a maggioranza cristiana. Così com’è difficile che dei cristiani raggiungano le cariche più elevate dello Stato, o altri incarichi di responsabilità, nelle università, nelle grandi compagnie, nell’esercito…C’è una ministra cristiana, ma vale come mezzo ministro perché non ha un budget proprio.
Com’è stato nel tempo il suo rapporto personale con i vicini musulmani? Da quando era bambino ad oggi è cambiato?
Sono nato a Mansura, nel Delta. Ho due sorelle, più piccole di me. Una è ingegnere chimico, l’altra era ingegnere agricolo, ma è morta 4 anni fa per un cancro al seno. Quando avevo cinque anni, tutta la mia famiglia si è trasferita al sud, a Sohag, dove ho cominciato le elementari. Avevamo dei vicini musulmani che non avevano figli. Di tanto in tanto venivano a farci visita e noi ricambiavamo. Ogni volta che andavo a trovarli, mi regalavano una rivista. Ma ero piccolo, non sapevo leggere, così guardavo solo le figure colorate. Mettevo da parte le riviste e le consideravo come un tesoro. Ecco, di quel rapporto così intimo mi ricordo ancora oggi. Anche la mia maestra delle elementari era musulmana. Dopo Sohag ci siamo trasferiti a Damanhur, e ho fatto amicizia con molti compagni musulmani. Uno di questi è mio amico ancora oggi, è un avvocato. Alle superiori andava matto per le canzoni, imparava a memoria le parole e me le recitava come se fossero state poesie! Alla facoltà di farmacia di Alessandria molti miei amici erano musulmani e vengono ancora a trovarmi. La moglie del Ministro della Difesa era in corso con me. È molto contenta che io sia diventato Papa. Quando sono diventato Patriarca della chiesa copta, la facoltà di Farmacia mi ha mandato le congratulazioni. Ho tuttora buoni rapporti con tutti, il mio cuore è aperto a tutti.
Ma quel tipo di rapporto che Lei aveva con i Suoi amici da ragazzo, lo vede possibile ancora fra cristiani e musulmani di oggi?
Senza dubbio la situazione è cambiata perché gli orientamenti religiosi rigoristi hanno creato una tensione nei rapporti tra le comunità religiose. Ma in generale ci sono buoni rapporti tra gli studenti all’università, nelle scuole, tra vicini, sul lavoro, anche se non con la stessa intensità del passato.
Da farmacista a Papa dei Copti, la Provvidenza L’ha condotta su vie sorprendenti. Gli studi di farmacia Le tornano in qualche modo utili oggi? Forse per decifrare la chimica dell’Egitto?
Guardi, sono diventato Papa il giorno del mio sessantesimo compleanno, il 4 novembre 2012, un dono del Signore per me. Il nome che ho scelto, Tawadros (Teodoro), significa infatti “dono di Dio”. La farmacia mi ha insegnato tre cose importantissime. Primo: far star bene chi soffre. Il sogno di diventare farmacista è nato in me quand’ero piccolo e mio padre si è ammalato. Aveva un’ulcera allo stomaco, soffriva molto, ma ogni volta che prendeva le medicine stava meglio. Così nella mia mente è sorta l’associazione tra chi porta le medicine e chi dà sollievo alla gente. A sei anni sognavo questo: «Vorrei dare sollievo alle persone».
Secondo: la meticolosità: la preparazione delle medicine richiede infatti molta precisione. Infine, la bellezza La forma della confezione, della bottiglia, della compressa, dev’essere bella. Dunque: dare sollievo, meticolosità e bellezza. Penso che le qualità richieste a un Papa siano proprio queste, no?
Come già osservava Lei, sono nate molte comunità copte nel mondo. Com’è la vita di queste comunità? Riescono a mantenersi fedeli alla tradizione di origine o subiscono l’influenza della cultura circostante?
Le comunità copte all’estero sono molto fedeli alla Chiesa madre. Naturalmente risentono dell’influsso della società locale, del clima di libertà che è presente in Occidente, ma conservano le tradizioni e offrono un sostegno alla Chiesa madre. Va anche considerato che la Chiesa copta all’estero non ha più di quaranta, cinquant’anni, si sta ancora costruendo. Quasi ogni giorno incontro un Vescovo o un sacerdote che vive all’estero, Stati Uniti meridionali, Australia. Inoltre siamo sempre in contatto via telefono, posta elettronica, Twitter…
Com’è strutturata la giornata tipo del Papa Copto?
Ogni giorno si divide in due parti: dalle 11 del mattino alle 11 di sera sto con la gente. Dalle 11 di sera alle 11 del mattino sto con Nostro Signore (nel monastero anche di più), attraverso la lettura, la preghiera, la Messa. La mia giornata è come una croce. Scorre lungo due assi: quello orizzontale con il popolo, quello verticale con Dio.
Lei, Santità, nel drammatico travaglio egiziano, in che posizione si riconosce?
Sono molto ottimista.