La tomba dell’uomo bianco. White man’s grave. Così era chiamata la Nigeria nel 1860 quando, tra gli europei, solo i missionari avevano il coraggio di avventurarsi nel Paese. Colpa della malaria, che li uccideva pochi mesi dopo il loro arrivo. Ma i Seminari continuavano a mandarne, e i religiosi a crederci. È questa la radice più recente della Chiesa che oggi, tra gli esponenti di maggior rilievo (anche a livello internazionale e nelle stanze vaticane), ha il cardinale John Onaiyekan. Invitato dal cardinale Angelo Scola dopo l’austriaco Schonborn, il filippino Tagle e lo statunitense O’Malley a raccontare la sua esperienza di evangelizzazione della metropoli. Un tema che interessa: la sera di martedì 10 il Duomo di Milano è pieno, all’indomani della Giornata contro la tratta degli esseri umani alla quale è dedicata la preghiera iniziale. Centinaia di fedeli sono giunti per ascoltare le parole di Onayiekan, ricche di orgoglio africano.
L’esordio è infatti un ampio excursus sulla storia del continente, «che non si trova nei libri – rileva -, ma che è antica come l’umanità». È una delle tante contraddizioni di una terra, aggiunge, «piena di risorse umane e naturali, ma anche di povertà. Di profondi valori spirituali e religiosi, ma anche di corruzione, conflitti e guerre fratricide». È un continente complesso, precisa il Cardinale,con diversità non solo geografiche, ma anche culturali. Per questo, sostiene, «gli osservatori esterni fanno fatica a comprenderci e tendono a fraintenderci».
Il colonialismo, «un crimine storico» che ha caratterizzato l’Africa nell’Ottocento e nella prima metà del Novecento, ha lasciato «come eredità positiva la fede cattolica». La prima messa in Nigeria fu celebrata nel 1862 da un religioso italiano, padre Borghero. Nel 1960, nel Paese, erano presenti 10 vescovi: tutti bianchi. Oggi le Diocesi sono più di 52 e i vescovi sono nigeriani. «Non perché non vogliamo uomini bianchi – tiene a chiarire il Cardinale -, ma perché il Signore chiede a noi di essere le guide di noi stessi».
La Nigeria ha 180 milioni di abitanti: metà musulmani, metà cristiani. I cattolici, spiega Onaiykan, sono la Chiesa più organizzata, «ma negli ultimi anni stanno prendendo piede i pentecostali, che si ispirano ai predicatori, soprattutto televisivi, americani. Non convertono islamici o pagani, ma attirano fedeli cristiani: nella condizione di difficoltà lavorative, economiche e precarie in cui versiamo, tanti si lasciano attirare da chi promette miracoli, anche se non si avverano».
In questo scenario opera la Chiesa cattolica nigeriana: «Non chiamateci Chiesa giovane – raccomanda il Cardinale -. Ormai abbiamo superato il secolo e io – aggiunge con un largo sorriso – ho 71 anni: non siamo una Chiesa giovane». Ma una realtà caratterizzata da tre tappe fondamentali: «Il Concilio Vaticano II, che ha coinciso più o meno con la fine del colonialismo. Mentre in Africa parlavamo della riconquista dell’autonomia, la Chiesa a Roma celebrava l’apertura al mondo: per noi era notizia di gioia, soprattutto la possibilità di celebrare la messa nelle lingue locali». In secondo luogo la visita di papa Montini in Uganda, primo Pontefice a raggiungere l’Africa subsahariana: «Lanciò questa sfida: “Potete e dovete avere una Chiesa africana. Dovete essere missionari di voi stessi”. I sacerdoti di allora colsero queste parole con tutto il cuore e la Chiesa iniziò un grande progresso». Terzo, il Sinodo africano del 1994, «che si concentrò sull’evangelizzazione verso il nuovo millennio».
Anche su queste radici è cresciuto un albero che oggi frutta «sempre più battesimi», spiega il Cardinale, «e molte vocazioni religiose. C’è chi pensa che siano dovute alla povertà, ma non è così: non si può fingere una vocazione per 9 anni di Seminario», assicura. Il numero rimane però sorprendente. Onaiyekan lo interpreta come «il desiderio del Signore di dirci qualcosa: ci dà tante vocazioni perché ci aspetta un grande lavoro nel prossimo futuro. Stiamo preparando un grande esercito per una grande “guerra”. Le sfide sono grandi: se anche in tanti oggi sono battezzati, è però necessario che riscoprano la loro fede, la vivano con coerenza, si interessino della società con uno stile cristiano».
La Diocesi guidata da Onaiyekan sta crescendo con la città. Abuja, infatti, fino al 1980 non era niente più che savana. Finché il Governo decise di trasferire da Lagos a lì, nel nulla al centro del Paese, la sua capitale amministrativa federale. Progetto affidato a un giapponese, gran parte dell’edilizia a ditte tedesche, oggi la capitale è un gioiello di modernità. «La Diocesi di Milano – rileva il cardinale – risale al primo secolo, la mia è del 1984. Ma la cosa bella della Chiesa cattolica è che, giovane o vecchia, è sempre Chiesa». Ora la città, spiega, ha quasi 3 milioni di abitanti, più di 50 parrocchie, 150 sacerdoti di cui più di metà locali. «Cattolici e musulmani praticano la loro fede con sincerità – racconta -. Se un cattolico non va a messa la domenica, il suo amico musulmano gli chiederà come mai non ci è andato».
Una descrizione stonata rispetto agli echi delle cronache rosso sangue che giungono fino a noi. «Boko Haram è un gruppo di pazzi fanatici, meno di 5 mila persone, che fa cose atroci e non rappresenta la comunità islamica nigeriana – spiega Onaiyekan -. Hanno ucciso cristiani e distrutto chiese, ma uccidono tutti quelli che non sono d’accordo con loro, anche musulmani». Non basta però, aggiunge, «che i fedeli islamici prendano le distanze da questi fanatismi, come dall’Isis in Iraq e Siria, o da Al Qaeda in Maghreb o da Shabaab in Somalia. Devono fare qualcosa, devono parlarci. Perché le guerre si concludono solo con le parole e solo i musulmani possono parlare ai musulmani, perché si capiscono e si ascoltano. Devono dire ai fanatici che ciò che fanno è contro l’Islam». Qualcosa sta accadendo in questo senso, rileva il Cardinale, «anche se non trova spazio nelle cronache, soprattutto in occidente». Il riferimento è a un recente meeting tenutosi ad Amman e promosso dal re giordano Abdallah. «Ho visto un sentimento di imbarazzo profondo perché i gruppi terroristici si dicono nel nome di Allah. Per questo la più importante università dell’Islam sunnita sta preparando un libretto con i principi fondamentali islamici che l’Isis ha frainteso. E i 140 capi islamici più importanti del mondo hanno firmato una lettera aperta ad Al Baghdadi, califfo dell’autoproclamato Stato Islamico. Noi cristiani – raccomanda – dobbiamo appoggiare questi tentativi musulmani di autocorrezione». Pretendendo però anche «che il Governo faccia la propria parte, cioè dia una risposta armata, perché Boko Haram agisce con fucili e bombe». Ma, aggiunge, «non li si batte definitivamente con le armi: più se ne uccidono, più se ne reclutano. Siccome è un’ideologia, ci vuole una teologia per cambiare la loro mentalità. Preghiamo perché accada il miracolo promesso dal Governo, fiducioso di estirpare in sei settimane il gruppo dal territorio in cui è insediato da tre anni».
È l’ultimo pensiero del Cardinale nigeriano prima di concludere con un ringraziamento alla Chiesa ambrosiana per l’impegno spirituale e materiale profuso negli anni. «Possiamo ricambiare il dono – propone – inviando qui sacerdoti che si occupino in particolar modo degli immigrati africani». Dopo il caloroso scambio di saluti e ringraziamenti con il cardinale Angelo Scola, Onaiyekan si è soffermato con i numerosi fedeli che affollavano le panche del Duomo (ai quali è stata chiesta una offerta speciale per la Chiesa nigeriana), per poi prepararsi alla partenza, domani mattina, per il Concistoro indetto da Papa Francesco per il 14 febbraio.