Il giorno successivo nel quale la Chiesa ambrosiana ha ricordato la morte del suo venerato arcivescovo Ildefonso Schuster, giunge la notizia della scomparsa, nella residenza dei gesuiti di Gallarate, del cardinale Carlo Maria Martini, che per 22 anni, dal 1980 al 2002, è stato arcivescovo di Milano. Tracciare un bilancio di questo lungo episcopato nella diocesi più grande del mondo, segnata in questo periodo da profonde trasformazioni che ne hanno cambiato la pelle con la nascita di vecchie e nuove povertà, non è certo facile.
Si può partire dal giorno del suo ingresso nella diocesi, quando Martini era stato accolto dal racconto evangelico di Simon Pietro, che , dopo una notte passata senza pescare nulla, si fidava di Gesù, che lo invitava a tornare in mare, e gli diceva: «Sulla tua parola getterò le reti». Questo testo è stato ripreso più volte dall’Arcivescovo per sollecitare l’intera Chiesa ambrosiana a ripetere il gesto di Pietro «nei mari calmi della fede accogliente, come in quelli tempestosi del dubbio e della tentazione di non credere». E Martini poneva al centro di questa sollecitudine pastorale che riguarda tutta la comunità cristiana – ed è una caratteristica costante del suo magistero – la centralità della Parola di Dio che è quella che porta i cristiani «a un atteggiamento di apertura al futuro perché per un credente non è mai il tempo della nostalgia né tantomeno del rimpianto. È sempre l’ora della speranza, della fiducia, dell’amore. Tutto passa, l’amore resta».
Per tutto il suo episcopato Martini è stato annunciatore ininterrotto della Scrittura. Una scelta che Giovanni Paolo II gli riconosceva ampiamente scrivendogli, al compimento dei 75 anni, quando avrebbe lasciato il governo della diocesi di Milano, «in tutte le tue feconde attività pastorali il primo posto lo tengono le Sacre Scritture, così come è conveniente che faccia quel modello di pastore d’anime che in tutto hai voluto rappresentare: tu infatti non solo hai tentato di condurre alla dottrina del vangelo i fedeli cattolici ma anche il mondo laico e chi si dimostrava indifferente».
Scelto personalmente da papa Wojtyla, Martini, che aveva fino alla sua nomina a vescovo incentrato il suo impegno sullo studio della Bibbia, sia all’Università gregoriana che all’Istituto biblico, con un’alta specializzazione scientifica e con il desiderio sempre presente di poter andare a Gerusalemme, diventa nella capitale lombarda più che un amministratore nella diocesi un uomo del dialogo verso tutte le componenti della società milanese, vicine e lontane, facendo della parola di Dio la cifra del suo episcopato. Con iniziative come la “Cattedra dei non credenti”, con “La Scuola della Parola”, incontri nel Duomo con migliaia di giovani che hanno superato i confini dell’Arcidiocesi, con decine di scritti ha letto i segni dei tempi alla luce della Parola di Dio.
Ma il biblista Martini non ha dimenticato le tante vicende della sua città e dell’intero Paese: dal terrorismo, allora ben presente a Milano (e sarebbero stati alcuni terroristi a consegnargli in Curia le armi dei loro delitti), a Tangentopoli, alla crisi della politica. Con i discorsi pronunciati ogni anno nella festa di Sant’Ambrogio, che costituiscono un’antologia improntata al discernimento delle situazioni e insieme un invito alla speranza, non ha mancato di leggere, sempre alla luce della Parola di Dio, i tanti fenomeni emergenti, positivi o negativi che fossero. Ma forse per lui non era abbastanza: «Avrei dovuto farmi più carico, anche con l’intercessione presso Dio, dei peccati più diffusi e degradanti: la corruzione, la droga, la prostituzione, la criminalità organizzata, i peccati contro la vita, le deviazioni sessuali, l’edonismo, le chiusure nel particolarismo». Di fronte a questi mali, Martini non ha smesso di parlare. La sua non è mai stata però una denuncia fine a se stessa, ma sempre guidata dalla Parola. Concluso il suo episcopato milanese e svanito il sogno di trasferirsi definitivamente a Gerusalemme, Martini ha continuato – e lo ha fatto fino a poche settimane fa – a guardare oltre con entusiasmo e con speranza perché la sua fiducia era basata sulla Parola che non passa.