Con ritmo incalzante, anche la stampa generalista dà notizie di studi e sperimentazioni sulla funzionalità cerebrale umana, nell’ambito del trattamento delle patologie neurodegenerative, del potenziamento farmacologico delle performances cerebrali e della manipolazione neurochirurgica. Scontata l’enfasi degli annunci, rimane vero che dalle possibilità dischiuse dalle neuroscienze si sollevano interrogativi cruciali sull’identità e sull’unicità dell’essere umano. In questione non è semplicemente l’approntamento di protesi in rapporto ad una soggettività che costituisce riferimento stabile per coadiuvarne l’operatività, ma di tras-formare l’umano come tale.
Dobbiamo ammettere che il cervello è causa prossima dei movimenti del nostro corpo, dei nostri sentimenti, delle nostre azioni intenzionanti. Ma questi rilievi – legittimamente sospesi ad un riduzionismo metodologico – autorizzano un determinismo neuronale? Il nemico giurato della neurofilosofia è il dualismo sostanziale tra res cogitans e res extensa, di cartesiana memoria, che non si rassegna ad una spiegazione fisiologica della macchina causale cerebrale ed evoluzionista della morale, appellandosi all’anima come realtà separata. Ora, però, pur ammettendo la problematicità di una concezione sostanzialistica del sé, si deve concludere che il prendere decisioni obbedisce a regole puramente meccaniche (modello fisicalista)? Non negare la dipendenza dell’attività psichica da quella cerebrale equivale ad escluderne l’irriducibilità?
Come dimostra la lettera aperta promossa di recente dal Future of Life Institute, dall’interno della stessa comunità scientifica si levano appelli affinché le nuove frontiere della tecnologia rimangano una risorsa preziosa e non danneggino il genere umano. Proprio nel momento in cui l’umanità si affaccia sulla possibilità della sua trasmutazione si acuisce il rilievo della sua autodeterminazione: il dibattito sul “come” (tecnico-applicativo) sollecita il confronto sul “chi” vogliamo essere. Il rischio che queste straordinarie opportunità divengano preda di inquietanti strumentalizzazioni mostra l’interesse di una riflessione che, libera da dogmatismi, si mostri in grado di coordinare la pluralità delle prospettive epistemologiche implicate. La progettazione, l’esecuzione e la comunicazione della ricerca scientifica si iscrivono sempre in un orizzonte di senso, il quale rinvia ad un principio di soggettività e ad una cornice etica di valutazione.
In linea con questa responsabilità è stato organizzato, martedì 24 febbraio, l’annuale convegno di studio della Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale di Milano, dal titolo «La tecnica e il senso. Oltre l’uomo?» La prima sessione del mattino – con l’introduzione del Preside, monsignor Pierangelo Sequeri e con gli interventi di Roberto Mordacci e Vincenzo Costa – raccoglie la sfida di ripensare la questione antropologica («Che cosa fa dell’uomo un uomo?») sullo sfondo dei nuovi scenari dischiusi dalle neuroscienze, dedicando una specifica attenzione al tema della libertà, la cui originalità si istituisce in una fitta rete di condizionamenti. La convergenza sulla necessità di superare un antropocentrismo tanto ingenuo quanto arrogante rilancia l’interesse per la testimonianza del testo biblico.
La seconda sessione pomeridiana dedicata alla «signoria dell’uomo nella sapienza biblica», con le relazioni di Romano Penna e Gianantonio Borgonovo, farà il punto dell’indagine esegetico-teologica su alcuni brani di rilievo programmatico quanto alla responsabilità umana nella solidarietà originaria con la natura. La singolarità del fenomeno umano non si attesta per contrapposizione all’ordine cosmico-naturale, né può essere difesa individualisticamente. La scelta di chiudere il convegno con un forum che ospiti alcune «interrogazioni sul futuro prossimo» – interverranno Duilio Albarello, Marco Salvioli e Paolo Heritier – è raccomandata dalla consapevolezza della complessità delle problematiche in gioco e dall’opportunità di mantenere aperto un dialogo interdisciplinare.
L’itinerario proposto si innesta idealmente nel più ampio cammino della Chiesa italiana verso il Convegno di Firenze del prossimo autunno, che pone significativamente a tema la questione del «nuovo umanesimo in Gesù Cristo». La voce che la teologia ricava dalla fede è la testimonianza di una presenza nella carne che invita a guardare al dinamismo evolutivo non come al mutare di una Natura naturante, ma come ad un intreccio drammatico di libertà, esposte per grazia a una redenzione cosmica.