Hanno la voce ancora rotta dall’emozione i ragazzi della parrocchia di Santa Maria del Rosario a Milano, quando raccontano dei giorni passati nella cittadina di Belene, in Bulgaria. A invitarli don Paolo Cortesi, bergamasco dei padri Passionisti, che da cinque anni ha fatto di questa terra il suo campo di missione. Dal 14 al 25 luglio hanno lavorato per riordinare case, ridipingere stanze, ripulire giardini di una cittadina che «sembra rimasta ferma ai nostri anni Sessanta», esemplifica Costanzo Cafaro, uno dei giovani, che racconta di una cittadina che porta ancora i segni del suo passato nell’orbita sovietica, dove strade d’asfalto diventano immediatamente di terra battuta e dove sono rimasti quasi solo gli anziani, dopo che a più riprese, dal 1990 in poi, i progetti di realizzare una centrale nucleare in loco sono rimasti solo sulla carta.
Costanzo racconta di aver lavorato una giornata intera per ripulire il piccolo appartamento di una vedova di 85 anni, tra topi morti e scatolame di due decenni fa. Stesso ambiente per Chiara Zago, che ha riordinato la casa di una ex cantante lirica, che ricordava commossa di essersi esibita anche davanti a Giovanni Paolo II: in un unico locale la cucina e il letto, mentre per il bagno bisogna uscire all’esterno.
I cinquanta adolescenti milanesi hanno fatto i conti non solo con le condizioni di povertà, ma anche con le testimonianze dell’oppressione del regime comunista: nella vicina isola di Persin, lungo il Danubio, sorgeva infatti uno dei più duri campi di concentramento per oppositori politici, dove sono stati internati anche preti cattolici e ortodossi, pastori protestanti e religiosi musulmani. Insieme a un comitato di volontari locali padre Paolo ha voluto riportare alla luce questo luogo, facendone finalmente un parco “Memoriale delle vittime dei totalitarismi”. Anche qui hanno lavorato i ragazzi, per poi celebrare insieme a padre Paolo la prima, toccante messa.
A Milano i ragazzi portano con sé le immagini di un mondo a due facce, che spesso si affiancano in contesti di povertà come quello di Belene, dove il desiderio di futuro non trova risposte facili: «Molti giovani locali in estate paradossalmente preferiscono partire per fare volontariato all’estero», spiega Chiara, con una speranza: «Forse siamo stati d’esempio anche per i giovani del posto a poter fare qualcosa di più per la loro città».
Costanzo invece nota il lato positivo, ricordando i volontari che come noi lavoravano gratuitamente, raccontando le difficili condizioni della propria terra «senza vergogna, e senza sentirsi inferiori a noi. Né noi ci siamo sentiti superiori a loro». «È un’esperienza che fa pensare a quanto siamo fortunati, anche rispetto a chi non sta poi così lontano da noi – continua Chiara -: in fondo queste persone possono essere le stesse che magari guardiamo con sospetto sui nostri mezzi pubblici, perché, pensiamo, vengono a rubare… Ma ci sono tante situazioni travagliate che in realtà non conosciamo». «È un’esperienza che ci ha unito – chiude Costanzo – mostrando a noi diciottenni che non ci sono solo telefoni e vestiti, ma che si può lavorare pur nelle difficoltà».