“Un piccolo gregge”, ma importante per la Chiesa del Terzo millennio. È l’Istituto “Cristo Re”, fondato da Giuseppe Lazzati nel 1939, con la precisa ispirazione del carisma secolare. Lo dice al cardinale Scola, il presidente dell’Isituto stesso, Antonio Vendramin, che con un gruppo di consacrati, dialoga con l’Arcivescovo presso l’Eremo San Salvatore, luogo splendido (risalente al 1536, forse il primo convento cappuccino del nord Italia) in cui trova spazio anche la sepoltura del professor Lazzati.
128 i consacrati nel mondo dell’ISCR sostenuto dal cardinale Schuster fin dal suo nascere – Lazzati diceva che l’Arcivescovo beato era il vero fondatore -, eretto in Diocesi nel 1952 e che nel ’63 ha ottenuto l’approvazione pontificia. Due, poi, gli aggiornamenti di Statuto e, ultimamente, in data 28 settembre 2016, l’approvazione dei nuovi Statuti, «vòlti ad aggiornare gli aspetti organizzativi, di linguaggio e del vissuto concreto dei membri che nel tempo si è arricchito e diversificato».
Insomma, laici consacrati che continuano a svolgere ogni tipo di lavoro nella società per collaborare alla costruzione del mondo. «Così partecipiamo, nota Vendramin che nella vita lavora in banca – alla diffusione del Regno. Con i voti di povertà, castità e obbedienza e nel celibato, siamo diffusi oggi in 9 Paesi del mondo, dall’Africa al Venezuela fino all’India. Tra noi non esiste vita comune: l’Istituto si struttura per Comunità che si ritrovano mensilmente e, annualmente, per gli Esercizi. 12 coloro che stanno facendo il cammino iniziale. La consacrazione e la secolarità sono i due pilastri che, con il Congresso dell’agosto scorso, sono stati definiti come cardine del nostro futuro cammino quinquennale».
Piergiorgio Confalonieri, postulatore della Causa di Beatificazione di Lazzati, ricorda il 5 luglio 2013 quando il fondatore venne dichiarato venerabile e chiede che si preghi in Diocesi mantenendo viva la figura e l’insegnamento lazzatiani.
Poi, la riflessione del Cardinale: «Effettivamente tutti registriamo, nella vita quotidiana, il cambiamento di epoca in cui siamo immersi e, riguardo al quale, preferisco parlare non tanto di crisi, quanto di travaglio. Tutto ciò ha una grande incidenza sui fedeli per cui l’annuncio della fede sembra “non ancorarsi” – come proprio i membri dell’Istituto hanno scritto al Cardinale, preparando l’incontro – e questo interroga tutti noi come soggetti ecclesiali. In tale senso, sono molto contento di sapere che avete a cuore la cura della persona dentro la comunità», spiega Scola ai presenti, con un’osservazione. «Bisogna evitare di avere lo sguardo “voltato indietro” e sprofondato nel rimpianto. Occorre, invece, domandarci cosa dobbiamo edificare e come farlo».
Se il nostro «è un tempo di scoperta (o riscoperta) del peso del soggetto personale e comunitario all’interno della vita della Chiesa e della società», si tratta di comprendere a pieno come proporre la propria testimonianza. «Nella vostra forma di consacrazione laicale ciò è evidente: la consacrazione personale è immersa nel secolo, vivendo il lavoro come condizione primaria anche senza la promozione di specifiche opere. Non per nulla il tema del Cristo Re è centrale nella vostra esperienza e niente come il lavoro, se inserito nella consapevolezza globale dell’uomo, dice della partecipazione all’offerta totale di Cristo per noi. Il lavoro dà dignità piena alla persona».
È, dunque, il soggetto che deve giocarsi nella relazione. «Abbiamo bisogno di persone e di comunità attrattive. Non a caso, il Papa dice che il cristianesimo si comunica per attrazione. Anche Lazzati aveva chiaro che la città dell’uomo non può essere il luogo dell’egemonia, ma deve esserlo della testimonianza. Non dobbiamo convincere o egemonizzare nessuno perché non siamo un partito. Dire testimonianza e non militanza significa l’umiltà e il coraggio di porsi, ciascuno con il proprio temperamento, come segni concreti della bellezza dell’esperienza cristiana e come via per un compimento. Anche contrariamente a una certa visione teologica, che forse si è per fortuna un poco indebolita negli ultimi 20-25 anni, non c’è momento o situazione storica in cui non si possa comunicare l’incontro con Cristo. L’epoca dell’ideologia ci ha invece portato a dimenticare che non viene prima l’analisi, ma il fondamento è vivere il rapporto con Cristo».
Da qui, la conclusione dell’Arcivescovo: «Penso che la consacrazione laicale sia decisiva per la crescita, per il rinnovamento, per la riforma della Chiesa, per darle forma bella nel tempo presente. Prendo molto sul serio la responsabilità di promuovere la Causa di Lazzati e sono assai contento che l’Istituto sia nato a Milano», scandisce Scola ricordando che proprio su uno scritto del
Professore – “Consecratio mundi” – lui stesso, a quindici anni, parlò per la prima volta in pubblico.
Poi, il breve dialogo – prende la parola anche don Ettore Dubini, vicario parrocchiale a Crevenna nel cui territorio si situa l’Eremo – che tocca le difficoltà di vivere la fede nel tempo presente: «Credo che, specie per le donne, la consacrazione laicale sia una via molto importante per il futuro, basti pensare all’Ordo Virginum o alle Ausiliarie diocesane».
Infine, la benedizione nella Cappella dell’Eremo e la sosta alla tomba di Lazzati con la recita commossa e corale della preghiera per la Beatificazione del fondatore. «Preghiamo perché arrivino presto dei segni chiari e decisivi», auspica il Cardinale prima del caloroso saluto.
Eremo San Salvatore di Erba
Scola: «La consacrazione laicale è decisiva
per il rinnovamento della Chiesa»
Il Cardinale ha dialogato con un gruppo di consacrati dell'Istituto secolare "Cristo Re". L'Arcivescovo ha, poi, sostato in preghiera sulla tomba del fondatore, il Venerabile Giuseppe Lazzati
di Annamaria BRACCINI
22 Novembre 2016