Nella sinagoga centrale di Milano, rivolta come tutte verso Gerusalemme, entrano insieme il Rabbino capo, rav Alfonso Arbib e l’Arcivescovo di Milano, il cardinale Scola che ha voluto fortemente la visita allo storico Tempio, in cui fa il suo ingresso per la prima volta come guida della Chiesa ambrosiana. Dopo aver visitato una mostra a pannelli dedicata ai luoghi e agli oggetti di culto dell’ebraismo italiano, nella Sinagoga gremita, l’accoglienza è subito calorosissima, mentre il Cardinale e il Rabbino prendono posto sotto i due grandi Candelabri a sette braccia. Ci sono fedeli ebrei e cristiani: della Delegazione della Diocesi fanno parte alcuni Vescovi ausiliari, rappresentanti del Consiglio delle Chiese Cristiane di Milano con l’attuale presidente, il pastore Platone, sacerdoti e partecipanti alla Commissione per l’Ecumenismo e il Dialogo della Diocesi, membri del Comitato scientifico dei “Dialoghi di Vita Buona”. Ad ascoltare ci sono l’intera dirigenza della Comunità ebraica di Milano, la seconda più numerosa in Italia, Yahya Pallavicini, presidente del Coreis (Comunità Religiosa Islamica Italiana), molte autorità civili e militari tra cui il Prefetto facente funzione, il generale di Corpo d’armata Amato dei Carabinieri, i direttori del Corriere e di Avvenire, Fontana e Tarquinio.
Dai saluti del copresidente della Comunità , Raffaele Besso, all’indirizzo rivolto a Scola da Giorgio Mortara, vicepresidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane – che porge il benvenuto «nella casa comune» –, per arrivare al messaggio inviato da rav Giuseppe Laras che, con il cardinale Martini fu artefice dell’inizio della felice stagione di un dialogo mai interrotto, tutto parla della volontà di continuare costruire amicizia e solido esempio di pace, fuori da luoghi comuni, come evidenziano le parole soprattutto di rav Laras: Mortara dice: «Oggi le religioni sono chiamate ad agire con una responsabilità sociale e i loro leaders chiamati a essere esempi della convivenza. Immediate siano le condanne contro chi sceglie la strada della violenza per costruire quella pace a cui tutti aspiriamo in Italia, in Israele e nel mondo».
Il riferimento è chiaro alla inestinguibile radice dell’ebraismo che è in Gerusalemme e nella terra di Israele intese in senso teologico, biblico, geografico e politico.
Le parole di rav Alfonso Arbib
«Questa visita avviene il 17 gennaio, giornata che si inserisce nell’ormai lungo percorso di dialogo fra Cristianesimo ed Ebraismo, un dialogo che ha voluto superare una lunghissima storia di incomprensioni che, a volte, si sono trasformate in tragedie. Questa è la storia che ci portiamo dietro le spalle e ancora continua a pesare», spiega Arbib, che cita la moabita e convertita Rut, sul cui Libro sono invitati a riflettere ebrei e cristiani per la Giornata 2017. Il pensiero è, comunque, a Gerusalemme.
«Questa città e ciò che rappresenta, è essenziale per la coscienza e la religiosità ebraica. Gerusalemme è la città del Santuario, distrutto prima dai Babilonesi e poi dai Romani, è al centro della spiritualità, della preghiera e del pensiero ebraico. La città del shalòm, della pace che è contenuta nel suo nome. Questo rapporto con Gerusalemme e con la Terra d’Israele è parte integrante della spiritualità ebraica, dell’anima ebraica, altrimenti non si capisce nulla dell’ebraismo. Per questo motivo chi nega questo legame – come è avvenuto in alcune decisioni di organismi internazionali – non intacca solo un governo o uno Stato, ma le radici stesse dell’ebraismo. Credo che questo tema del rapporto con Gerusalemme debba essere centrale nel dialogo ebraico cristiano e nel dialogo interreligioso in generale, anche con il mondo islamico».
E tutto per giungere a una vera pace, come è nel nome della città santa e contesa: «La parola pace è uno dei termini più inflazionati del nostro tempo, in realtà però si tratta di un concetto complesso e di un’aspirazione di difficile attuazione. Pace può significare assenza di conflitto e già questo, nel nostro mondo travagliato e afflitto da un’ondata di terrorismo sanguinario, che colpisce cristiani, ebrei, musulmani ma anche persone non appartenenti ad alcuna fede religiosa, sarebbe un buon risultato da raggiungere». Ma non basta: «La parola shalòm in ebraico deriva dalla radice shalèm che vuol dire integro, completo. Ci sono due modi antitetici di sviluppare questo concetto. Si può pensare che integro significhi “Io sono completo e integro e gli altri devono adattarsi a me”. È l’idea, estremamente pericolosa, che è alla base di ogni fondamentalismo Ma shalèm può voler dire anche l’esatto contrario: che si aspira a un’integrità avendo la coscienza di non essere completi. Credo che questa concezione debba essere alla base del dialogo interreligioso».
Da qui la conclusione: «Abbiamo percorso un lungo tratto ma c’è ancora un cammino da percorrere, siamo certi che pur salvaguardando le differenze, saremo guidati dai valori che le nostre due religioni hanno trasmesso e che sono diventati patrimonio dell’umanità. La nostra aspirazione deve essere l’amore per la verità e la pace».
L’intervento del cardinale Scola
«Il dialogo con l’ebraismo occupa per i cristiani un posto unico», sottolinea, infine, il Cardinale commentando il Salmo 122 (121) da lui scelto – “Già sono fermi i nostri piedi alle tue porte, Gerusalemme” – e delineando un articolato excursus storico dalla Dichiarazione Conciliare Nostra Aeatate alle parole di san Giovanni Paolo II pronunciate nella Sinagoga di Roma nello storico incontro del 1986: «La religione ebraica non ci è ‘estrinseca’, ma in un certo qual modo, è ‘intrinseca’. Abbiamo quindi verso di essa dei rapporti che non abbiamo con nessun’altra religione». Non dimentica, l’Arcivescovo, la «ferita inferta alla nostra comunità civile con la deportazione di 896 ebrei milanesi, come ricorda il Memoriale della Shoah al Binario 21».
Poi lo sguardo è all’oggi: «Nell’attuale cambiamento d’epoca, il rinnovato rapporto tra ebrei e cristiani è chiamato all’improcrastinabile compito di edificazione di una “civiltà dell’amore” secondo il disegno del Creatore. Vorrei sottolineare il particolare e speciale vincolo spirituale che caratterizza le relazioni fraterne tra ebrei e cristiani e che trova nell’amore per Gerusalemme e per la “Terra di Santità” un centro ed un cuore pulsante di fede, di venerazione e di pellegrinaggio orante. Come cattolici siamo partecipi, in una dimensione cristiana ecumenica, dei sentimenti di religioso attaccamento alla Terra dei Padri e della Promessa che il popolo ebraico ha costantemente sviluppato nei millenni della storia d’Israele fino ad oggi. Preghiamo che Gerusalemme diventi sempre più la “Città della Pace” per tutti gli uomini e le donne che amano la pace. Siamo perciò profondamente addolorati per le violenze e gli attentati esecrandi che ancora di recente hanno ferito la santa città, uccidendo giovani vite e profanando il Santo nome divino. Così come deprechiamo le espressioni di antisemitismo che si ripresentano, purtroppo, in Europa. La storia del popolo ebraico e di quello cristiano si ergono a indelebile prova che non si dà libertà per la verità che non sia, nello stesso tempo, verità della libertà. In questo cammino comune di testimonianza reciproca sarà inoltre possibile intercettare l’istanza profonda dell’uomo post-moderno».
Un compito, quello del dialogo, particolarmente significativo per Milano, metropoli plurale dove, per Scola, «la comunità ebraica e quelle cristiane sono chiamate al compito profetico di essere un terreno fecondo in cui possa mettere radici e svilupparsi l’incontro e il confronto tra i membri di tutte le religioni, a partire dagli altri figli di Abramo, i musulmani. I nostri fratelli uomini ci trovino insieme testimoni della verità dell’amore e della pace».
E, conclusione, dopo l’ascolto di melodie antiche e alcuni Salmi cantati, lo scambio dei doni con l’Arcivescovo che offre un Breviario in quattro volumi del 1800 e la Comunità che regala una preziosa edizione unica del Talmud Babilonese, che si sta pubblicando in italiano.