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Sirio 18 - 24 novembre 2024
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La morte come compimento

«...Gesù disse: "Tutto è compiuto!". E, chinato il capo, spirò...» (Gv 19,30)

5 Giugno 2008

21/03/2008

di Adalberto PIOVANO
priore Comunità SS. Trinità, Dumenza

«E dopo aver ricevuto l’aceto, Gesù disse: “Tutto è compiuto”. E, chinato il capo, spirò».

La morte spezza una vita. Tutto è finito, tutto si dilegua nell’impotenza e nella disperazione. Tutto ciò che ha segnato un cammino, la speranza e l’amore che l’hanno sostenuto, alla fine si rivelano un triste fallimento. Forse può essere così per chi vuole realizzare un progetto tutto suo, per chi si aggrappa disperatamente alla propria vita senza darla a nessuno, per chi rimane alla superficie della vita.

Ma per chi ha cercato di vivere da figlio obbediente sino all’ultimo respiro, per chi ha scoperto il segreto della vera vita nel mistero del chicco di grano che, morendo, porta molto frutto, per chi ha fatto del dono di sé la forza di ogni gesto, di ogni passo, di ogni parola, la morte non è una fine, ma un compimento. Poiché una fine nella fedeltà e nell’amore è un compimento.

«Avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine… “Tutto è compiuto”». Sulla croce, dove tutto sembra contraddire gioia e pienezza, dove la violenza dell’uomo rinfaccia un assurdo fallimento, Gesù afferma ancora una volta la sua fedeltà a Dio e all’uomo: fino in fondo ha condotto l’opera che gli è stata affidata; fino in fondo è rimasto sottomesso alla parola del Padre, lui, «la Parola che era fin da principio e per mezzo della quale tutto è stato fatto»; fino in fondo è vissuto da Figlio obbediente. Veramente «tutto è compiuto».

Per essere riempito fino all’orlo, un vaso deve essere completamente svuotato: «svuotò se stesso… assumendo la condizione di servo.. .facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce». Ma proprio «per questo Dio lo ha esaltato e gli ha dato un nome che è al di sopra di ogni altro nome».

In questo compimento Gesù realizza in pienezza il suo nome: essere Figlio. E nella croce viene svelato il cuore stesso di questo nome: un Figlio che si affida totalmente al Padre e a Lui affida ognuno di noi, rendendoci figli. Veramente nella croce tutto ciò che Gesù ha fatto o detto, il racconto della sua vita, l’amore di Dio per ogni uomo, è svelato e compiuto.

Ecco perché questa parola contiene qualcosa di pieno, anzi di gioioso: cos’è la gioia se non aderire totalmente a ciò che uno è, nella profondità del suo essere? Cos’è la gioia se non la consapevolezza che la propria vita è fonte di vita per gli altri? Che cos’è la gioia se non il dono?

Dopo aver ascoltato le parole della sofferenza, dell’abbandono, della solitudine, quelle parole che paradossalmente ci rivelano un volto “inaudito” di Dio, ora possiamo accogliere questa parola di pace con cui Gesù sigilla la sua vita. Una parola che ci dona la pace perché è realmente abitata dallo Spirito di Gesù.

E solo lo Spirito che viene soffiato sull’umanità e sul mondo nel momento in cui Gesù muore, può rendere questa parola memoria viva in noi. Se avremo custodito come tesoro prezioso questa parola, alla sera di ogni giorno, alla sera della vita, lo Spirito ci darà la grazia di udirla risuonare nel nostro cuore: «Tutto è compiuto».

Ogni giorno, quando giunge al termine, può essere percepito come un giorno finito, chiuso, senza sbocco, oppure come un giorno compiuto, ricco di grazia e aperto a una pienezza. E così avverrà anche al termine della vita.

«Potrò dire anch’io, alla sera della mia vita: “Tutto è compiuto”; ho condotto a termine la missione che mi hai affidato? Potrò ripetere anch’io, quando le ombre della morte scenderanno su di me, la tua preghiera sacerdotale: “Padre, l’ora è venuta… Io ti ho glorificato sulla terra compiendo l’opera che mi avevi assegnato da compiere. Padre glorificami presso di te”? O Gesù, qualunque sia la mia missione: grande o piccola, dolce o amara, vita o morte, concedimi di compierla nel modo che tu – tu che hai compiuto tutto, anche la mia vita – l’hai già compiuta, affinché io fossi capace di portarla a compimento» (K. Rahner).