Si inizia con una manciata di minuti di anticipo proprio per la grande quantità di temi e questioni che i fedeli del Decanato di Rozzano, riuniti in forze nel teatro comunale “Fellini”, vogliono affrontare in dialogo con l’Arcivescovo. Prende avvio, così, con una preghiera corale proposta appositamente per l’occasione, la Visita pastorale al Decanato, appunto, di “Rozzano”, in Zona VI. Una realtà notevole, che si estende su 5 Comuni, per un totale di 89.000 abitanti, 17 parrocchie di cui 3 Comunità Pastorali con la presenza di 37 tra sacerdoti, consacrate e operatori pastorali laici. Volutamente, per l’Assemblea, si è scelto il “Fellini” – un contesto laico in cui trova posto anche il Gonfalone cittadino –, come ricorda la sindaco di Rozzano, Barbara Agogliati – accanto a lei i membri di Giunta, i Primi cittadini del territorio e le autorità militari –, parlando della «fierezza di una periferia dove abitano cultura dell’educazione, pace, tolleranza».
«Trovarci in un teatro dove anche le Istituzioni si sentono a proprio agio significa pensare a Gesù che non si fermava solo nelle sinagoghe», dice, a sua volta, il decano, don Olinto Ballarini che è sul palco con l’Arcivescovo, il Vicario Episcopale di Zona, monsignor Michele Elli e due laici, che illustrano la realtà decanale.
La riflessione iniziale dell’Arcivescovo
Ringrazia tutti, il Cardinale, per la preparazione accurata della Visita e sottolinea: «Vedo qui rappresentanti delle Chiese e delle Comunità musulmane, segno di una società che cambia. Dobbiamo vivere in pace una vita dignitosa. Per fare questo occorre essere responsabili, come voi siete, della rinascita, in parte in atto, di Milano, del Paese e dell’Europa. Sono questi, infatti, i luoghi da cui può venire vita buona nella società plurale. Non parliamo di periferia, ma di laboratorio di esperienze».
Dopo la spiegazione del perché il Vescovo intraprenda la Visita, della modalità “feriale” scelta, dell’articolazione dell’iniziativa e del suo senso complessivo – la frattura tra fede e vita e il necessario tornare all’educarsi al pensiero di Cristo –, parte subito il confronto serrato in 6 domande.
Nuovi linguaggi per una “Chiesa in uscita”
Un ragazzo si interroga sulla possibilità di linguaggi capaci di «comunicare la bellezza della novità cristiana soprattutto ai giovani»; un sacerdote chiede come vivere la «Chiesa in uscita che va verso le periferie esistenziali».
Chiara la risposta: «Per affrontare il quesito dei linguaggi, anche di quelli nuovi, dobbiamo porci, prima, il problema del soggetto che parla. Chi comunica? Il linguaggio non è solo questione di parole o di strategie, ma nasce dal coinvolgimento personale e comunitario di chi annuncia. Ricordiamoci che il Cristianesimo è l’incontro personale con Gesù nella Comunità cristiana. Questo è il nostro profilo di credenti», evidenzia Scola che invita a fare l’esercizio «semplice, ma fondamentale di andare con il pensiero al proprio battesimo che, ricevuto da piccoli, si è riattualizzato attraverso un momento, una persona o delle situazioni in cui Gesù ha preso un peso nella nostra vita». Il riferimento è anche alla bella esperienza in atto a Rozzano con la “Scuola di Gesù” dove ai bimbi, con il coinvolgimento di genitori e nonni, si insegna la realtà di un Cristo vissuto e che va comunicato. «Come il Figlio di Dio si è incarnato e si è giocato con la gente, assumendo il linguaggio del suo tempo, così dobbiamo fare noi entrando nella vita dei giovani con pazienza, senza preoccupazione per i “numeri”, ma incarnando la proposta che facciamo loro e cercando di capirli “nella loro lunghezza d’onda”, anche rispetto ai nuovi strumenti che usano. Il Signore parlava con autorità perché era autorevole nel suo essere autentico testimone e questo richiede, anche oggi, il porsi della persona in comunione con la realtà e il cogliere la domanda giovanile per come loro la vivono». Da qui il richiamo alla grande opportunità del “Sinodo dei giovani”.
Poi, quale azione di Chiesa in uscita suggerire in un contesto come quello di Rozzano che a lungo è stato sinonimo di complessità sociali, abitative e di povertà. «A me sembra che il vostro Decanato sia già in uscita. Lo si vede bene ed è proprio la vostra storia che rende conto di ciò», scandisce il Cardinale che indica l’importanza del termine periferia esistenziale. «Nel vivere il quotidiano bisogna guardare l’altro per come lui stesso sperimenta l’esistenza. Se facciamo questo, allora, tutti siamo spinti ad affrontare con maggiore energia le situazioni di esclusione. Vivere la condivisione di chi è nel bisogno, a partire da chi lo è in maniera estrema, ci consente di comprendere tutti. Se non mettiamo in gioco la nostra vita con chi abbiamo a fianco, dimostrando che il Signore ci ha preso e ci ha cambiato, non siamo realmente in uscita. È la libertà dei cristiani che crea il nesso tra la Chiesa e il mondo in ogni ambiente e circostanza della quotidianità».
«L’uscita va pensata in questi termini ampi, con la logica di Madre Teresa (che di periferie del mondo se ne intendeva) che così spiegava il lavoro delle sue giovani figlie tra i più disperati: “esse amano Gesù e trasformano in azione vivente questo amore”».
Il pensiero va anche alla politica odierna: «Lavorare da situazioni e luoghi vitali, da rapporti di ogni giorno, così si riparte».
I laici e Rozzano «periferia anche diocesana»?
Si prosegue con domande «sulla ministerialità dei laici» e su cosa possa rappresentare il Decanato di Rozzano per la Chiesa ambrosiana, «perché qualche volta ci sentiamo pure periferia diocesana».
«Il ruolo dei laici è a tutti i livelli, perché siete soggetti ecclesiali attivi di un annuncio del Vangelo da portare, in ogni ambito dell’umana esistenza, con amore per l’altro, a cominciare dalla famiglia. Promuovete incontri semplici, dialogate, confrontatevi sui problemi concreti», indica Scola che sembra guardare direttamente i presenti uno a uno.
«Qui voi siete la Chiesa: ciò è molto importante e non dovete sottovalutarlo. Siete una sorgente di rinnovamento della vita cristiana della Diocesi e ora, socialmente parlando, fate parte della Città metropolitana, siete cioè coloro che garantiscono alla grande Milano una cittadinanza piena: qui c’è l’emergere dell’io nella sua interezza. Non esiste solo il Quadrilatero della moda, la Darsena o il centro di Milano, peraltro con vie dove la povertà e l’emarginazione di chi dorme per strada è, comunque, evidente. Credo che abbiate un’importanza di carattere capitale per la vita della nostra Chiesa. Tutta la fascia della prima periferia costruita negli anni ’60, che è la più provata, rappresenta il futuro, perché vi è più autenticità. Siete pupilla del Vescovo e dei suoi collaboratori più diretti che rimangono aperti e disponibili alle vostre proposte. La vera forza è ciò che state facendo, realizzando un grande servizio alla Chiesa milanese».
Il dialogo tra le fedi
Infine, ancora le fatiche del territorio e come «il dialogo interreligioso ed ecumenico possono favorire l’integrazione».
«Negli anni ’70 si è persa la gratuità della politica e quindi un progetto. Bisogna rilanciare la vita sociale dalla base appassionando i giovani. La politica è una delle forme più elevate di carità e l’ecumenismo è un aspetto di stimolo a vivere in maniera autentica il cristianesimo». Come a dire, un ecumenismo di popolo è necessario, se solo si pensa ai matrimoni misti. «Si cita sempre la grande quantità di musulmani, ma non si considera che i cristiani di diverse Confessioni sono la maggioranza in Diocesi, ad esempio, solo i Copti sono tra i 10-15mila».
Insomma, la consegna è la stessa che si tratti di vita, di testimonianza, di periferia fisica ed esistenziale, di politica o di dialogo tra le fedi: ripartire dal basso con fiducia, giocandosi in prima persona e praticando giorno per giorno vita buona.