«La realtà, in se stessa, non ha un significato univoco. Tutto dipende dallo sguardo con cui viene colta, dagli ‘occhiali’ con cui scegliamo di guardarla». Così scrive papa Francesco.
Occhiali. Davanti a una valanga che ingoia decine di vite, si può correre sui social o in televisione a sfogare la propria indignazione. Occhi polemici tengono sempre pronta la lista dei ritardi e dei colpevoli da consegnare al ludibrio della piazza. C’è una miopia arrogante e denigratoria, che esita a usare le vittime e specula sul dolore, fino a sporcare la neve con il fango della propaganda. Poco importa se in questo modo si allarga il fronte della tragedia, s’aumentano smarrimento e sfiducia, si getta il discredito su tutti.
Occhiali. Davanti a una valanga che ingoia decine di vite, si può – incuranti delle condizioni proibitive – rimboccarsi le maniche, mettere mano a una pala, in silenzio, insieme, mossi dalle lacrime e dal coraggio, avvolti dall’abbraccio di un intero Paese. Il miracolo più grande, forse, sta proprio in questo riconoscersi parte di un comune destino, partecipi di una comunità, animata da un desiderio di riscatto e rinascita. Ben oltre l’emergenza del momento.
Occhiali. Sguardi diversi conducono a diverse risposte, destinate a rimanere distanti. Quanto lontana è l’indifferenza dal coinvolgimento, l’accidia dal servizio, l’accusa dal metterci del proprio.
Nel contesto in cui viviamo abbiamo già visto tutto, raggiunti come siamo da una mole di informazioni che non sappiamo come gestire e che spesso non aiuta a vedere, conoscere, capire. Si distingue e ci affascina il tratto di chi sa riconoscere come la storia dell’uomo – troppe volte scritta con la voce dei guerrieri – sia attraversata anche da un altro filo. È speranza che intesse capolavori; come fa capire il Papa, parla «in tantissime edizioni nelle vite dei santi», che rendono questa stessa storia una storia sacra.
Per il cristiano, lo sguardo sulla realtà nasce dal Vangelo: non sgorga a comando, richiede umile e paziente fedeltà per leggere ciò che accade con gli occhi e il cuore del Risorto, fino a scorgere nella stagione invernale il grano di domani. È sapienza che nulla ha a che spartire con «un ottimismo ingenuo che non si lascia toccare dallo scandalo del male»; anzi, alla sua luce contraddizioni e responsabilità diventano ancor più visibili e pesanti. Educa a distinguere, a chiamare per nome le cose, a superare gli stereotipi che impediscono di avvicinarsi agli altri. Non alza muri, costruisce ponti.
Non a caso, la comunicazione immaginata e proposta da papa Francesco è a servizio di una cultura dell’incontro. Dice di un andare verso l’altro, ma anche disponibilità a fargli spazio e ad accoglierne il mistero. Dice di un donare e di un ricevere. Più semplicemente, dice reciprocità.
Piattaforme e dispositivi digitali ampliano a dismisura la possibilità di ascolto, parola, condivisione. Quanti accettano di uscire dalla quiete del porto e di esporre la vela al vento dello Spirito, pongono le condizioni per ritrovarsi «fari nel buio di questo mondo». Grazie a loro, come oggi nel cuore del Gran Sasso, ogni nuovo dramma diventa «scenario di una possibile buona notizia, dal momento che l’amore riesce sempre a trovare la strada della prossimità e a suscitare cuori capaci di commuoversi, volti capaci di non abbattersi, mani pronte a costruire».