Più volte ho tentato, ma senza mai riuscirci di mettere per iscritto l’esperienza missionaria di questa estate in Brasile: ogni volta tanti ricordi si affollano disordinatamente nella mente, portando i miei pensieri lontano, fino agli immensi spazi incontaminati della foresta, alle bianche spiagge dell’oceano e alle verdi acque del Rio. E’ venuto però il momento di fare un po’ di ordine!
Era da alcuni anni che portavo nel cuore il desiderio di un’esperienza di missione e grazie al PIME è stato finalmente possibile realizzarlo. Mi ha spinto a partire la crescente consapevolezza che il mondo non si riduce all’orizzonte del luogo in cui vivo, ma si allarga abbracciando altre terre, altre persone, altri popoli, altre culture, che condividono con me la stessa esistenza.
Sono partito con il desiderio di allargare lo sguardo sulla Chiesa, di incontrare fratelli e sorelle tanto lontani nello spazio, ai quali però la fede nell’unico Signore mi unisce. Mi tornano alla mente le tante persone incontrate, il loro sorriso, la loro serenità! Penso soprattutto ai bambini – mai visti così tanti! – e subito rivedo i loro volti, i loro occhioni dolci che ti guardano, incuriositi per la presenza di quattro giovani che partiti da lontano sono lì anche per loro.
Il Brasile che ho visto non è quello delle spiagge affollate di turisti o del carnevale di Rio, ma quello in cui missionari come Mons. Aristide Pirovano e Marcello Candia, animati dall’Amore di Cristo, hanno dedicato la loro vita.
Un Brasile, quello del nord-est, immerso nella miseria e nella povertà di chi non può guardare con speranza al futuro perché si ritrova a vivere un presente già colmo di incertezze.
I villaggi sono formati da file e file di baracche di legno in cui vivono costipate in pochi metri quadrati anche una decina di persone, prive di servizi igienici e con un unico locale che fa da camera, cucina e soggiorno.
Le strade sono per la maggior parte sterrate e piene di buchi che le auto di pochi e le biciclette di molti faticano a percorrere per raggiungere gli altri villaggi, lontani anche centinaia di chilometri.
Ma la povertà del Brasile è anche morale e culturale: la famiglia, tranne rare eccezioni non esiste, le ragazze già in giovanissima età sono in attesa del loro primo bimbo che non raramente, dovranno crescere da sole, con l’ospedale più vicino a 300 Km di distanza.
La povertà qui interpella la coscienza, chiede risposte: come è possibile che alla nostra opulenza si contrapponga una miseria così profonda ed estrema, quasi da sembrare estirpare la dignità dall’uomo? E’ qui però che ho compreso veramente cosa significhi guardare all’altro per ciò che è e non per ciò che ha o per ciò che mostra di sé! A questo punto mi sono reso conto di quanto quelle persone così lontane dal mio modo di vivere e di guardare alla vita mi stavano donando!
Condividere con i missionari, la stessa casa, lo stesso lavoro in mezzo a quella gente, che spesso significa lunghi viaggi in jeep o in barca per andare a celebrare una Messa per poche persone, mi ha fatto percepire profondamente la bellezza dell’Amore di Dio che si serve di semplici uomini per farsi vicino ai suoi figli più lontani, poveri ed emarginati.
In quei giorni di missione ho avuto la gioia di sentire l’universalità della Chiesa che nella diversità e nell’unicità di ogni suo figlio si realizza e si manifesta. Custodirò sempre nel cuore l’accoglienza dei Brasiliani, la loro semplicità e generosità, l’essere sempre pronti ad offrire ciò che per loro rappresenta l’essenziale per vivere, sempre con il sorriso stampato sul volto, segno chiaro di una gioia e serenità interiori che noi, sommersi dal benessere e travolti dalla mentalità di una società –quella occidentale- sempre più svuotata di valori autentici, rischiamo di perdere!
Giuseppe Costanzo
Parrocchia di S. Carlo Borromeo
Lambrugo (Co)