Al Convegno unitario dell’Azione cattolica ambrosiana sul tema “I frutti del Concilio Vaticano II”, domenica 27 novembre in via Sant’Antonio 5, tra i relatori c’era Paolo Giuntella, al quale abbiamo rivolto alcune domande.
di Silvio Mengotto
Nella sua relazione lei ha ricordato il Concilio Vaticano II come un evento dirompente, un’autentica “rivoluzione copernicana”. Non le sembra un’espressione forse un po’ forte?
Quella espressione sul Concilio, oggi contestata dagli storici revisionisti, è di Marie Dominique Chenu, uno dei più grandi teologi del ‘900. Se pensiamo non alle verità fondamentali, che ovviamente sono sempre le stesse nella storia del cristianesimo e della Chiesa e sempre lo saranno, ma ai modi di pregare e di pensare Dio, quindi agli stili di vita, al metodo di cercare Dio e di testimoniarlo tra gli uomini, credo che il Concilio sia una vera rivoluzione copernicana. Pensiamo alla povertà nella Chiesa, al passaggio da una Chiesa trionfante a quella di “popolo di Dio”, al sacerdozio comune di tutti i cristiani che rompe la barriera – alquanto poco evangelica – tra la gerarchia e i fedeli come si diceva un tempo. Credo che sia molto importante questa visione del mondo non come un nemico, ma come contesto storico nel quale siamo chiamati a dare la nostra adesione della fede, della fraternità, dell’amicizia, della solidarietà, non solo ai più poveri, ma anche ai malati, ai soli, agli abbandonati, a tutti coloro che soffrono e che sono i privilegiati del Signore.
“Ritorno al futuro”: altra espressione efficace e stimolante con la quale ha definito l’evento conciliare. Vuole spiegarne meglio il senso?
"Ritorno al futuro" è il titolo di un film di fantascienza. Titolo che ho utilizzato per raccontare il Concilio Vaticano II ai miei figli, cercando di far comprendere che da una parte il Concilio è il ritorno alla “vera” tradizione, quella con la “T” maiuscola, cioè la tradizione evangelica e della Chiesa primitiva, dall’altro proprio perché è ritorno alle origini, alla sorgente, inizio di un cammino che sarà anche lento, lungo, ma è l’inizio del ritorno al futuro. Proprio perché è un ritorno alle sorgenti, è il nostro futuro, come cristiani e come Chiesa, nella pienezza dei tempi che, secondo una personale convinzione, avverrà quando sarà compiuto questo ritorno alle origini.
L’apertura verso un ruolo di responsabilità dei laici è stata una delle novità del Concilio Vaticano II. Nell’oggi, lei ha parlato di un momento di afasia laicale nella Chiesa. Che cosa intende dire?
Sicuramente il Concilio ha spalancato le strade ai laici, sia dal punto di vista della dignità teologica, del sacerdozio comune, di “popolo di Dio”, sia dal punto di vista di quello che suscitò: consigli pastorali, una diffusa partecipazione laicale, gestione anche diretta delle parrocchie, persino molte attività pastorali che non implicavano direttamente i ministeri, il carisma sacerdotale. Poi c’è stata una fase di ri-clericalizzazione, di nuovo clericalismo. Una fase dovuta anche alle responsabilità dei laici i quali, per pigrizia o forse per una sorta di nuova delega, hanno un po’ rinunciato al loro ruolo, oppure hanno scambiato completamente la visione del loro ruolo diventando una specie di vice parroci o suore mancati. A volte, nelle parrocchie, siamo pieni di queste persone super attive, che però non hanno l’originalità del laico, ma sono una specie di imitazione sacerdotale senza carisma. Penso che questo sia l’aspetto più problematico, se non peggiore, perché introduce elementi di nuovo clericalismo. Nello stesso tempo credo che siano solo delle secche, delle anse sul grande fiume del Concilio, il quale non è nè fine a se stesso, nè fine al Concilio, suo fine è quello di condurre il popolo di Dio verso il Regno e la pienezza dei tempi.