Il cardinale Angelo Scola, oggi giovedì 28 gennaio, è stato al Centro pastorale di Seveso, dove ha incontrato 350 preti per riflettere sull’identità del sacerdote e sul servizio nelle comunità cristiane. Nella pausa dei lavori tante le occasioni di conversazione tra l’Arcivescovo e i preti anche sul tema della famiglia. Il portale della Diocesi di Milano www.chiesadimilano.it lo ha intervistato.
«Molti di loro mi hanno chiesto – spiega il cardinale Scola – un parere sul disegno di legge sulle unioni civili che presto sarà all’esame del Parlamento e sulle manifestazioni pubbliche in programma in questi giorni. Il pronunciamento del cardinale Angelo Bagnasco in sede di Consiglio Permanente Cei con molta chiarezza e pacatezza mostra qual è la posizione che noi sentiamo più adeguata: la famiglia è il rapporto stabile e aperto alla vita tra l’uomo e la donna che – oltre ad approfondire l’amore tra i coniugi – si fa carico dell’educazione dei figli, genera vita e si prende cura di due differenze fondamentali, la differenza sessuale e quella tra le generazioni. Inoltre, la differenza sessuale nella coppia genitoriale è insostituibile per il figlio. I cristiani e i vescovi su questo si stanno esprimendo all’unisono».
Manifestare in piazza o no: che posizione deve assumere un laico cristiano?
Una precisazione: viviamo in una società plurale, in cui si esprimono mondovisioni molto diverse tra di loro, spesso in contrasto. In una simile società è doveroso che ogni soggetto proponga a tutti gli altri qual è secondo lui l’ideale della società, in particolare a proposito di cosa è famiglia. Scandalizzarsi perché cittadini manifestano è profondamente sbagliato. Certo, occorre poi distinguere qual è la responsabilità dell’episcopato rispetto a quella dei fedeli laici, ma di fronte alla manifestazione in programma sabato ci troviamo davanti ad un dato di fatto positivo. Sono certo che dal raduno al Circo Massimo usciranno ragioni adeguate e l’apertura al confronto. Nella nostra società plurale occorre narrarsi e lasciarsi narrare.
Serve una legge sui diritti per le unioni omosessuali?
Anzitutto bisogna evitare che l’istituto familiare, che ha una sua identità e fisionomia precisa, venga non solo sminuito ma anche offuscato da nuove leggi. Questo non significa non riconoscere alla persona omosessuale i diritti che devono essere oggettivamente dati. Questi diritti però devono andare anzitutto alla persona, il più possibile, e garantire la persona stessa. E molti di questi diritti sono già identificati dalle leggi vigenti. Due i punti che comunque devono essere evitati: costruire un impianto di legge che ricalchi l’istituto familiare e ammettere la stepchild adoption, via per giungere massicciamente all’adozione – attraverso la pratica dell’utero in affitto – dei figli per le coppie omosessuali. Corriamo due rischi, il dissolvimento della società e al tempo stesso di mettere al mondo figli orfani di genitori viventi. Il legislatore deve tenere conto di questi dati.
Molti, criticando la posizione cattolica, sostengono che «basta che ci sia l’amore» e «meglio l’adozione alle coppie omosessuali che lasciare i bambini negli orfanotrofi…»
Basta intendersi su cos’è l’amore. C’è unità indivisibile tra differenza sessuale, relazione con l’altro e fecondità. Questo elemento è oggettivo, pena non essere capaci di assumere la realtà così come è. Concedere l’istituto dell’adozione anche alle coppie omosessuali, adducendo come motivo la presenza dei bambini negli orfanotrofi, mentre segnala un problema serio utilizza un drammatico caso particolare per introdurre regole complessive. E questo nella storia, come nel caso dell’aborto, è già accaduto…
Se su questi temi i cattolici esprimono la propria opinione spesso vengono accusati di ingerenza, mentre la manifestazione di convinzioni opposte – di certo molto più presenti sui media – è ritenuta legittima…
Questo è segno dell’assenza dei cattolici dall’agone pubblico, a seguito della crisi politica del 1992. Il cattolicesimo politico è finito (non è detto che sia un male), ma i cristiani devono giocarsi in questo ambito, portando il senso della comunanza e del bene di tutti, senza spirito di egemonia ma con autentico spirito di servizio. Una società come la nostra ha bisogno del confronto instancabile e appassionato. A questo proposito, cito un caso esemplare: sono molto contento del lavoro del comitato scientifico dei Dialoghi di vita buona, dove persone con posizioni religiose, filosofiche, sociali e culturali differenti, si confrontano per cercare la possibilità di vita buona che abbiamo in comune.